Dettagli Recensione
Tira quel sassolino, Horacio, ce la puoi fare!
Rayuela è un romanzo bellissimo e sconcertante. Si procede nella lettura senza scivolare nella storia ma saltellandoci dentro con una gamba sola. In un certo senso è una Divina Commedia moderna e laica, un romanzo escatologico che parla dell’al di là eliminando però ogni idea di pena, di colpa, di punizione, di giudizio. Resta la scelta. Per il gioco del mondo occorre un sassolino e la punta di una scarpa, e lo scopo è arrivare dalla terra al cielo. Ma da bambini in genere non si dosa bene il calcio e si spinge il sassolino fuori dalla casella, e da grandi ci si scorda lo scopo del gioco, perciò capita che si crei un altro cielo, più accessibile del cielo vero, che assomiglia a un paradiso dei desideri, un kibbutz del desiderio dove si vive in libertà parlando di arte e di filosofia e in cui vige il libero amore, nel senso che il desiderio non ha una precisa orientazione affettiva. In questo luogo metafisico, chiamato dall’autore Dall’altra parte, Horacio Oliveira, un personaggio bellissimo, cinico, intelligente, amorale, affascinante tira a campare con gli amici del club del Serpente tra discussioni e riflessioni, caffè e mate. Divide il suo tempo tra due compagne, Lucia la Maga e Pola. La Maga, innamorata di Horacio, ha un bambino Rocamandour, che Horacio digerisce con difficoltà e anche lei ha un innamorato non ricambiato, Ossip. La storia evolve verso una scelta di Horacio (tra amore e desiderio, scelta metafisica) per cui lui lascia la Maga per poi rimpiangere la decisione presa. La Maga rappresenta l’amore e la sua presenza è incompatibile con le idee di Horacio, con il club del Serpente, con lo spirito del Kibbutz. Ci sono diversi riferimenti alla natura del luogo: il nome del club, l’Oscuro…. Per cui si può pensare in una delle chiavi di lettura che il paradiso dei filosofi sia l’inferno cristiano o qualcosa di simile. Le fiamme dell’inferno sono sostituite dalle fiamme del desiderio separato dall’amore, e dalle fiamme della nostalgia che non lascia mai Horacio: nostalgia della patria, l’Argentina (tic toc), nostalgia della Maga, nostalgia forse persino di Rocamandur, nostalgia del vero cielo anche se Horacio non pensa di meritare il vero cielo. Si intuisce che la nostalgia attuale di Horacio è niente, un assaggio della nostalgia vera perché il gioco non è finito, le porte della prigione non si sono chiuse, e lui può ancora rovesciare le cose, tirare il sassolino e ritrovarsi da un’altra parte. E infatti dopo un enigmatico colloquio con Ossip, l’amico-rivale, dopo la sparizione della Maga, troviamo Horacio da questa parte (cioè in argentina), dove va a vivere con Geprektel. Una donna Talita, molto simile alla maga ma non la Maga, e il suo vecchio amico Trevaller, lo accolgono con poco entusiasmo. Trevaller, bisogna dire che ricorda un pochino Ossip. Si ripropone tra Travaller e Horacio la rivalità che ricorda quella che c’era con Ossip, e bellissima è la scena del ponte di tavole di legno traballanti tra i due appartamenti di Trevaller e di Horacio in cui Talita si arrampica fermandosi a metà a suo rischio, rischio di cui tutti, lei compresa, se ne fregano. Un ponte simbolico tra i due amici in cui sembrerebbe che Talita debba scegliere tra i due. In realtà non si tratta di scelta e di amore, come sembrerebbe ma di altro (potere? Qualcosa di metafisico, forse). In realtà il vero ponte è simbolico e ci deve salire Horacio e è un ponte puntellato da Talita che porta da un’altra parte e che forse, lo riporterà dalla Maga. Horacio nei suoi momenti di lucidità intuisce che il kibbutz del desiderio è una gabbia, solo più grande rispetto alla famiglia. Il finale, bellissimo è aperto con Horacio che forse giocherà (io penso di sì), forse cadrà dalla finestra, con Talita che forse cadrà nel fiume, la Maga che forse è annegata. Tutto dipende dalla tenuta del ponte, dalla decisione di Horacio che deve salire sul ponte e decidersi a giocare. Tutti i personaggi, dalla Maga a Talita a Ossip a Trevaller sono specchi per Horacio, riflettono la sua immagine ma mettendoci un po’ di calore, la riflettono com’è per cui Horacio si può fidare di quello che vede dato che non può guardarsi direttamente. Trevaller a un certo punto sembra l’alter ego di Horacio. In realtà è una persona diversa, buona, che ha fatto scelte metafisiche diverse e serve proprio per la sua somiglianza a Horacio a reggere il ponte e a mostrare una possibilità. Il romanzo rimanda a una terza parte non scritta, al cielo più in alto.
Il nome Horacio contiene la radice del verbo orao vedere e infatti sembra preveggente ma non chiaroveggente. Infatti sa le cose prima ma non è sapiente, non vede dentro le cose capendole interamente, ha bisogno di una guida con una torcia (Lucia, Talita). All'opposto Lucia con le sue candele verdi è chiaroveggente ma non preveggente e nemmeno sapiente, solo saggia perchè ha il suo centro nel cuore.
La terza parte scritta è invece una raccolta di brani secondo me scartati dall’autore per le prime due parti, ma sempre interessanti, che chiariscono alcune situazioni e personaggi. Però non è una terza parte vera. In fondo al libro Einaudi mette anche un’intervista a Julio che colpisce perché Julio sembra saperne del suo romanzo molto meno dell’intervistatore.
Una chiave di lettura del romanzo potrebbe essere filosofica e rimandare a Kierkegaard di cui io ricordo ben poco. Il kibbutz potrebbe essere lo stato estetico, la vita in Argentina, nella casa con una donna lo stato etico. Lo stato etico sembra opprimente a Horacio(come del resto anche a Kierkegaard) e non solo perché vive con la sua Penelope invece che con la Maga. Si capisce che anche la vita con la Maga sarebbe per lui costrittiva. La casa è una prigione piccola, il kibbutz una prigione grande. L’unico posto accettabile sarebbe quello del capitolo mancante, il cielo, un kibbutz dell’amore (diverso da quello del desiderio) dove ritroverebbe Rocamandur e la Maga.
Bello il fatto che Horacio con tutta la sua scienza e conoscenza non arriva da nessuna parte perché gli manca il centro mentre la Maga, confusionaria e disorientata nella materia, si orienta benissimo nello spirito e ritrova sempre la direzione. La Maga come Talita sono delle guide per Horacio, gli sorreggono il ponte e gli indicano la strada incerta e traballante con le loro candele verdi. Il finale con il moto di simpatia di Horacio, insolito e promettente, fa pensare bene per lui. La simpatia viene dal cuore, non dalla testa.
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Commenti
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Recensione molto interessante.
Dell'autore mi pare di aver letto qualcosa, con soddisfazione, ma non ricordo il titolo.
Tu conosci altri suoi libri? Quali consigli prioritariamente?