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Non aprite quella porta
Ultrasessantenni ed innamoratissimi come se il tepore dell’amore di bambini non avesse fatto che alimentarsi ogni giorno di piu’, per decenni e decenni. Poi finalmente la Casa.
Quella dimensione tanto sognata, auspicata per anni una volta ottenuto il congedo dal lavoro.
Una dimora di campagna, isolata dal resto del mondo, popolata solo dall’affetto dei due sposi, dal fruscio dei tanti libri, dai passi ovattati della semplicita’, da infinite e cinguettanti primavere profumate e mesti, algidi inverni di neve e gelo.
Solo un’altra casa, una . Soltanto due vicini, due.
Il pugno bussa , clamoroso ed invadente, alla porta dei beati Emile e Juliette ogni sacrosanto giorno alle sedici.
L’abominevole dirimpettaio si accascia in poltrona scortato dai suoi monosillabi per due infinite ore, poi domani e dopodomani e il giorno successivo ancora. E poi di nuovo e da capo.
Le mattine trascorrono con l’ossessione che presto sara’ pomeriggio, il pomeriggio un risuonare di campanelli d’allarme e poi le notti, oh le notti insonni a rimuginare per ore e ore.
Finche’ la snervante routine dell’infiltrato non trasforma il piccolo Eden in una patologia di decadente delirio.
Come alla signora Nothomb venga in mente di cogliere aneddoti simili per intrattenere i suoi adepti mi restera’ sempre ignoto, sta di fatto che certe sceneggiature tanto elementari quanto caustiche e psicotiche sono riconducibili a lei sopra ogni ragionevole dubbio.
Logoranti ai limiti della debilitazione nervosa i soggetti de Le Catilinarie, il ritmo sostenuto e la curiosita’ di scoprire l’esito della vicenda rendono la lettura accattivante e serrata.
Molta Amèlie Nothomb e poca igiene mentale, buona lettura.
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Non tutti danno qualche scossa o qualche brivido. :-)
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