Dettagli Recensione
Allegoria tremendamente moderna
Cosa succede quando la malattia si trasforma in normalità? Quando i comuni canoni di percezione del reale vengono stravolti e capovolti? Cosa accade quando una menomazione diventa compagna di vita quotidiana costringendo il portatore ad abbandonare le proprie vecchie abitudini a favore di nuovi comportamenti scomodi? È a questa anormalità che deve assuefarsi la popolazione colpita repentinamente ed inaspettatamente dalla cecità bianca.
Considerata dagli organi governativi come una minaccia transitoria e quindi debellabile seguendo l’iter medico imposto dalla quarantena, la cecità viene sottovalutata e costringe decine di persone affette da questa inedita patologia all’internamento forzato in struttura pubblica in stato di abbandono e decadenza. Se i primi giorni di convivenza scorrono senza troppi intoppi, non appena il numero di malati si accresce emergono le prime difficoltà e i primi contrasti che non impiegano molto tempo a degenerare dando libero sfogo alla disumanità che si dispiega nel massimo della sua potenza. Egoismo, sopraffazione, violenza, stupro, astio, disprezzo si fanno strada fino a generare un incendio che brucia l’edificio intero costringendo i detenuti ad un evasione forzata. Con ciò recuperano la libertà, il bene più prezioso dopo la vista per questi disgraziati, ma piombano in un inferno peggiore di quello da cui provenivano. All’interno del gruppo dei protagonisti solo la moglie del medico conserva la vista e permette la sopravvivenza dello stesso procacciando cibo e vestiti in un mondo senza acqua, igiene, pulizia, elettricità e consumi. Un mondo paralizzato e destinato a decadere in un baratro di disperazione acuita dalla onnipresente cattiveria di cui solo l’essere umano sa essere fulgido esempio. La Storia è sempre lì a dimostrarlo.
Il romanzo è da leggere come una grande allegoria che è attuale e sempre lo sarà in quanto rappresenta comportamenti e reazioni che l’uomo ha messo in scena ripetutamente da quando abita questo pianeta. E, al di là del pretesto letterario della cecità, Saramago costruisce un romanzo intessuto di realismo e malinconia, di riflessioni sul presente e di considerazioni sul futuro, in un mondo di ciechi. Con spietatezza mette in luce il degrado morale e civile a cui l’uomo può giungere in qualsiasi momento; per questo basta semplicemente sintonizzarsi sul primo TG di passaggio o sulla prima pagina di un giornale. L’uomo, dove può, uccide senza ritegno né responsabilità, effettua soprusi di ogni tipo: sessuale, psicologico, territoriale, geografico, politico, economico; si prostra al dio Denaro senza rispetto per il proprio corpo o per le vite altrui, l’importante è fare “grano”. Questi elementi ricorrono in alcuni personaggi e in alcune vicende che compongono la narrazione e lasciano l’amaro in bocca perché pagina dopo pagina constatiamo che il mondo di ciechi di Saramago non è altro che l’abbruttito (ma forse nemmeno troppo) riflesso del nostro mondo. Ad essere ciechi, in molti sensi, siamo noi. Ora e forse sempre.
FM