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Tipicamente Auster
Forse se dovessi essere cattivo potrei scrivere che Paul Auster è un grande affabulatore, un autore capace di raccontare storie di uomini e donne e di creare dei personaggi anche se l’ossatura della storia risulta essere un po’ gracilina: quattro persone (due uomini e due donne), ognuna con problemi economici e personali, si trovano a vivere da occupanti, abusivamente, una squallida casa abbandonata a New York nel quartiere di Brooklyn, precisamente nella zona di Sunset Park che dà il titolo a questo libro.
Tra di loro spicca la figura di Miles Heller che si porta dietro il proprio trauma giovanile, una responsabilità ed un senso di colpa legati alla morte del fratellastro, che pesano come macigni sulle sue spalle e che allo stesso tempo condizionano la vita dei suoi genitori, altri importanti co-protagonisti in questa storia.
Poi invece, pensando più approfonditamente alla narrazione, ai numerosi riferimenti sportivi (sul baseball) e cinematografici (il film del 1946 ”I migliori anni della nostra vita” sul tema dei reduci tornati in patria dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale) disseminati nel testo, all’alternarsi dei punti di vista sulla vicenda (raccontata attraverso capitoli monotematici “ritagliati” sui singoli protagonisti), si comincia a rivalutare quest’opera e ad apprezzarla maggiormente. Un libro che parla di sentimenti, gioie, dolori, amore, sesso ed amicizia e che contiene anche una bellissima riflessione in quanto il protagonista, Miles Heller, viene descritto come un malato che compra libri compulsivamente perché “alla fine i libri non sono tanto un lusso quanto una necessità, e leggere è una malattia da cui non vuole essere curato”.
Credo che tanti di noi la pensino allo stesso modo e forse è sufficiente una frase del genere per valorizzare un intero romanzo.
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