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TANTI COLORI DOMINANTI
Taiye Selasi, scrittrice cosmopolita nata da padre ghanese e madre nigeriana con origini scozzesi, come una delle protagoniste del libro, scrive questo romanzo dividendolo in tre parti. Come ha spiegato in un’intervista, tale scelta riflette alcune partiture di piano e violoncello, anche loro divise in tre movimenti, facendo in modo che il primo sia un largo, il secondo una marcia ed il terzo un allegro.
La bellezza delle cose fragili, titolo originale “Ghana must go” che si riallaccia al periodo storico degli anni ‘80 in cui due milioni di ghanesi furono espulsi dalla Nigeria, narra la storia di una famiglia, prima unita, poi disgregata e alla fine di nuovo riunita da un evento. Inizia con la morte, la dolce morte, di Kweku Sai, il capofamiglia, colui che aveva saputo creare questo nucleo famigliare insieme all’amata Fola, ma anche colui che ha distrutto in un attimo un legame apparentemente inscindibile. Kweku è un uomo forte, un genio nel campo della chirurgia, il più bravo di tutti, dicono i suoi colleghi al John Hopkins Hospital di Boston. Ma la sua carriera si trova ad attaversare un incrocio impossibile da superare, un nodo nel quale il suo destino viene deciso prescindendo dai suoi meriti, ma prendendo in esame l’unica cosa che conta per affibbiare una qualsiasi colpa: il colore della sua pelle. Kweku inizialmente combatte ma poi si lascia sopraffare da un sistema immensamente più grande di lui e si trasforma in un perdente, un uomo che rinuncia a combattere e, cosa ancora più grave, rinuncia ad affrontare lo sguardo delle persone che lo ritenevano invincibile: la sua famiglia. Non riuscirà più a tornare l’uomo di un tempo e la sua famiglia perderà questo importante centro di gravità, frammentandosi in cinque unità separate fisicamente ed emotivamente.
“Kweku muore scalzo, una domenica all’alba,le pantofole all’uscio della camera, come cani. In questo istante è fermo, tra la veranda e il giardino, indeciso se tornare a prenderle. Non lo farà. In quella camera dorme Ama, la sua seconda moglie: le labbra dischiuse, la fronte leggermente aggrottata, la guancia che cerca calda uno scampolo di fresco sul cuscino, e Kweku non vuole svegliarla. Non potrebbe neanche se volesse”.
E’ questo l’incipit del romanzo, a cui seguirà una narrazione serrata, fatta di brevi periodi, frasi serrate, sentimenti alternanti, continui viaggi nel tempo e nello spazio fino ad abbracciare Boston e l’America con Accra e il Ghana, ma raggiungendo anche la LIberia e la Nigeria, una tavolozza di colori che spaziano dal grigio bianco dell’inverno della Pennsylvania ai caldi giallo, rosso e oro del Ghana. Soprattutto i colori emergono ripetutamente con prepotenza, dando una percezione visiva a chi come me, trova sempre il modo di attribuire un colore dominante ad un libro. In questo caso il giallo.
Un romanzo che si svolge come l’ultimo giro di una corsa, quando all’approssimarsi del traguardo la mente ripercorre tutto il percorso fatto fino a quel punto, facendo emergere attimi di gioia alternati a grandi amarezze, legate a quello che si è dovuto abbandonare per essere arrivati a quel punto. Un ultimo giro in cui ci si volta indietro, scoprendo che tutti quelli che avevano fatto il percorso con te non sono lì in quel momento, sono rimasti indietro oppure sparsi chissà dove. Qualcuno ha rinunciato, ha deviato verso altre destinazioni mentre qualcuno si è fermato in un punto ben definito di un appartamento lussuoso di Lagos ed aspetta di ripartire dopo vent’anni. Quello che Kweku non può sapere, nel momento in cui taglia il suo traguardo, è che il compimento della sua vita porterà quella magia che lui non ha saputo ricreare, dalle sue ceneri risorgerà nuovamente quello spirito chiamato Famiglia che era stato demonizzato e mai più nominato dai suoi figli e dalla moglie Fola.
Un romanzo con protagonisti africani, ambientato per buona parte in Africa ma che alla fine africano non è, perchè i protagonisti sono figli del mondo, cresciuti da una madre cosmopolita che risiede ovunque e che dispensa i suoi insegnamenti lasciandoli come piccole tracce sul loro percorso.
La scrittrice stessa è figlia di questa madre multiforme, avendo risieduto in diverse parti del mondo, e traspare nella narrazione una forte connotazione autobiografica, ammessa tacitamente, così come traspare una scrittura che sgorga dal cuore e si traduce su carta senza subire troppe revisioni dalla razionalità del pensiero. Inizialmente sconcerta, con tutti quegli strani periodi brevi, con i continui balzi da un’emozione all’altra, ma poi ci si abitua e si riesce a fondere il proprio ritmo con quello narrativo e quello che ne nasce assomiglia ad una danza che il lettore fa sulle note della narrazione.
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