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Il rogo di Berlino
 
Il rogo di Berlino 2016-02-18 10:39:13 f.martinuz
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f.martinuz Opinione inserita da f.martinuz    18 Febbraio, 2016
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Guerra "civile"

La guerra viene storicamente combattuta da eserciti rivali, sul campo di battaglia, in trincea tra morte, malattia, stenti, patimenti. La guerra è roba da soldati, generali, piloti e marinai; sono loro che ci mettono la faccia. La Storia ha sempre raccontato e sviscerato le strategie belliche, il dispiegamento di forze, le azioni eroiche e le infamie umane trasformando tenenti e colonnelli in eroi nazionali, astri di un firmamento fondato sulla violenza più cieca. La guerra, inutile negarlo, affascina l’uomo, lo attrae e lo avviluppa; si tratta probabilmente di un istinto innato e congenito.
Ma cosa succede quando, soprattutto al giorno d’oggi, la guerra travalica gli antichi confini del campo di battaglia?

Risposta semplice e atroce: le violenze e le sofferenze si riversano sui civili, su coloro che abitano le città e le campagne. Ed è proprio la Berlino nazista bombardata e distrutta del biennio 1944-45 che Helga Schneider, scrittrice di origine tedesca ma ormai a tutti gli effetti italiana, descrive con gli occhi di una bambina di 8 anni. Il dramma nel dramma: una bambina innocente costretta a sopportare, per la follia di un mondo crudele che spesso lei stessa rigetta, una vita di stenti e mancanze. Schneider usa una scrittura precisa, limpida, netta, lapidaria e senza fronzoli; come insegna la linea sbozzata e irregolare del Maus di Art Spiegelman per raccontare l’orrore, la violenza e la sofferenza gli orpelli sono pesi gravosi inutili e l’essenzialità diventa la via espressiva più consona. Schneider racconta la vicenda in prima persona, in presa diretta proprio perché l’ha vissuta.

Abbandonata dalla madre divenuta una fervente nazista (lavorerà come Kapo in un campo di concentramento), Helga, con il fratello Peter, è affidata alle cure della nuova compagna del padre, una matrigna con la quale non riuscirà mai ad avere un rapporto pacifico. Ma i patimenti giungono con l’intensificarsi dei bombardamenti degli Alleati,a cui fa da contraltare la propaganda fittizia di Goebbels, che costringono l’intera palazzina in cui Helga e i suoi familiari alloggiavano a fuggire e rintanarsi come topi nello scantinato. Questo diventa per mesi e mesi la loro dimora. Le assi di legno, i precari letti a castello, i materassi polverosi si trasformano nei loro giacigli; un secchio di latta diventa la latrina comune; l’acqua scarseggia fino ad esaurirsi; il cibo è razionato; uscire allo scoperto, avventurarsi per le strade e gli edifici distrutti di Berlino equivale a condannarsi a morte. Schneider descrive tutto questo, a tratti con un atteggiamento da storica, senza lasciarsi andare al compatimento e all’astio; certifica con le sue parole le esperienze di gioventù perduta, i conflitti col fratello, le incomprensioni col padre e l’assenza della madre naturale lasciando emergere un mai sanato senso di solitudine e maledicendo mutamente e implicitamente quell’attività deleteria e distruttiva a cui gli uomini si dedicano da millenni, senza mai imparare nulla, che va sotto il nome di guerra. L’Historia magistra vitae di ciceroniana memoria rimane una bella utopia.

FM

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