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Questo popolo è la trappola di se stesso
Storia a più voci, introspettiva e ben orchestrata, che fotografa mirabilmente la dimensione umana dello Stato d'Israele negli anni Settanta, durante e dopo uno dei tanti conflitti arabo-israeliani.
I riferimenti alla situazione politica sono pochissimi, mentre si predilige la descrizione dettagliata, fatta in prima persona, di pensieri e stati d'animo dei personaggi principali: una famiglia borghese benestante (padre, madre, figlia quindicenne), il giovane amante un po' svagato, una vecchia signora e un ragazzino arabo.
La coppia, segnata dalla perdita del primo figlio, è implosa da un pezzo senza far rumore e le macerie della loro unione pesano su una sterile armonia familiare:
“Non le ho detto che non l'amo, ancora non gliel'ho detto...”.
Eppure lui, col portafogli gonfio di soldi e il cuore intirizzito, pensa a lei continuamente, a lei che non desidera più ma che vorrebbe vedere felice, per incrinare quella dura e invisibile patina di ghiaccio che incombe sotto il loro tetto.
Non agisce consapevolmente ma per istinto, finendo per procacciare ciò che serve al benessere del focolare: un ragazzo che ricorda un po' il figlio perduto anni prima e che ritorna sotto forma di amante, un amante per la moglie. Non è una perversione ma una sorta di ossessione, il senso di un dovere da compiere che lo investe alla stregua di un colpo di fulmine.
Il romanzo è intenso, carico della bellezza “inesorabile” di Gerusalemme e della terra d'Israele, con le case pulite e ben arredate degli ebrei facoltosi, l'odore “di melanzane, di aglio verde e di fieno fresco” degli arabi, quello ortodosso di certi oggetti, “un misto di vecchi libri e di cipolle fritte con un leggero puzzo di fognatura”.
Nessuna esplicita presa di posizione sulla questione israelo-palestinese, solo qualche frase ammiccante (“Questo popolo è la trappola di se stesso”) che lascia intuire il punto di vista dello scrittore.
Le emozioni sono opportunamente calibrate per non scadere nel melenso e mai banali anche nel filone più prevedibile: il tenero amore sbocciato tra due adolescenti, un'ebrea e un arabo.
Tema dominante della narrazione è la mancanza di sonno, lo stato di spossatezza di chi, per un motivo o per l'altro, passa le notti in bianco e dorme e sogna nelle ore più improbabili, trasmettendo al lettore una perenne sensazione di irrequietezza:
“E' tutto un sogno deludente, senza una vera fine”.
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