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Tabù
La genesi di questo scritto è significativa e permette di capirne la natura e di apprezzarne l’intensità.
Il libro nasce da un sogno, quello di svelare un tabù privato e collettivo: la deportazione subita dalla minoranza rumeno- tedesca nei campi di lavoro forzato dell’Ucraina a partire dal gennaio del 1945 in seguito alla capitolazione della Romania e alla sua dichiarazione di guerra alla Germania, ex alleata. I sovietici, chiesero al governo rumeno che la minoranza tedesca fosse ceduta per essere impiegata nella “ricostruzione”. Il dopoguerra, gli anni di pace seguiti al secondo conflitto diventarono così per molti, anni infernali, di stenti, di morte, di duro lavoro e di deprivazione assoluta di quel poco che ancora c’era da togliere.
Il tabù privato è, nell’ordine, quello della madre della Muller che mai riuscì a parlare degli orrori vissuti e dell’amico poeta Oscar Pastior che casualmente si aprì al ricordo e lo consegnò all’amica che da anni si documentava soprattutto utilizzando le fonti orali rappresentate dal racconto dei sopravvissuti. Il tabù collettivo fu quello di un popolo costretto al regime dittatoriale che non ammetteva ricordo.
Il sogno sarebbe stato quello di pubblicare un libro insieme; l’improvvisa morte di Pastior arrestò momentaneamente l’intento e dopo il dolore la tenace Herta, riformulò le sue carte donando nuova vita al ricordo.
Depauperando lo scritto di un vero e proprio impianto narrativo, decise di offrire l’universo sensoriale di Leo, un diciassettenne rumeno, tutto riferibile alla sua vita in un lager ucraino, esiliato, deportato, umiliato e offeso per ben cinque anni.
Non si legge dunque un resoconto romanzato, non si legge un memoriale; sulla tenue linea del criterio cronologico si entra in sessantaquattro episodi per immagini nei quali, di volta in volta è dominante un unico elemento. Può essere il cemento o i pioppi neri o i cani della steppa, il pane, i dieci rubli, le patate...
Se inizialmente la lettura risulta spiazzante e frammentata, gradualmente si familiarizza con lo stile duro e poetico che anima un impianto a tratti onirico e surreale per giungere a piena comprensione di un quadro tremendamente reale. Si entra in piena sintonia del sentire, all’unisono quasi il fiato, nell’altalena del respiro che è il delirio della fame, della paura, della sopravvivenza. Tremendo uscire dal lager con Leo, si è rapiti da quell’indicibile malinconia e nostalgia che ha reso casa un luogo di sofferenza e di morte. Si lascia lo scritto empaticamente vicini a Leo, capaci di capirne la difficile reintegrazione, incapaci di dimenticare quelle scene che più ci hanno colpito.
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