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Altrove, forse
 
Altrove, forse 2016-02-16 08:30:14 68
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4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
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4.0
68 Opinione inserita da 68    16 Febbraio, 2016
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Armonia narrativa e bellezza poetica

Una voce narrante, sconosciuta, esterna ma non estranea agli eventi, anzi profondamente radicata all' interno del kibbutz di Mezudat Ram, nel nord del paese, circondato da montagne aspre ed invalicabili, un' oasi nel deserto, un luogo di comunione, una roccaforte del socialismo ebraico, ci narra la storia di questa comunità', un insieme di religiosità', di tradizioni, di famiglie, di amori, di incontri, di morti, di interazione, di cultura, e di tanto altro.
Lo fa con sensibilità' estrema, con tocchi poetici, realismo magico e simbolismo d' insieme, oltre che con arte retorica ed affabulatoria, offrendoci un racconto i cui intrecci narrazione-personaggi-storia si incastrano e si fondono dando vita ad un' armoniosa presenza.
Stupisce l' eloquio sapiente dei protagonisti oltre che la ricchezza del loro mostrarsi e del vivere la quotidianità' di una socialità' che e' sia condivisione che somma di individualità', anche differenze, contrasti, ma sempre espressione di un tutto e prodotto di elementi unici, simbiotici ed osmotici, che ha permesso la costruzione, la conservazione e la perseveranza del kibbutz tra le difficolta' della storia.
Al suo interno, dove regna un' armonia di intenti, culturali, lavorativi, sociali, educativi, la figura spirituale di Rubén Harish, poeta, insegnante, abbandonato dalla moglie Eva, fuggita in Germania, li' risposatasi e rifattasi una vita, rimasto solo con i due figli, l' adolescente e ribelle Noga, cosi' simile alla madre, ed il piccolo Gai, si intreccia con quella di Ezra Berger, camionista appassionato della Bibbia che cita di continuo, a sua volta tradito dalla moglie Bronka con lo stesso Harish e lui stesso protagonista di una relazione con Noga dalla quale ava' un figlio. Le apparenti sicurezze della comunità', verranno messe a dura prova dall' arrivo di Zachariah, fratello di Ezra, sibillino, sfrontato, manipolatore, machiavellico, causa e motore di nuovi equilibri all' interno del kibbutz.
Un esaustivo sunto della storia è' problematico perché' assistiamo a continue rivelazioni, cambi di prospettiva, di personaggi e di piani narrativi, oltre che di voci narranti.
Credo che un punto di arrivo stia nel cogliere l' insieme del flusso narrativo, in quel profondo senso di relazione, di umanità', di comunità', in quello sviscerare la storia di un angolo di mondo così' intimo, particolare, unico, cosmopolita, terra di contrasti, di guerre, di contraddizioni.
Ma l' elemento caratterizzante e fortemente presente è' la profondità' emozionale e sentimentale oltre che spirituale dei personaggi, e dei loro tratti caratteriali, così' bene espressi oltre che i mirabili affreschi di un paesaggio e di un paese dai forti contrasti, tanto dolce quanto amaro, fertile ed arido, luminoso e buio, rigoglioso e desolatamente scarno, una lingua di terra accogliente, calda, protettiva, inabissata dal pericolo, dalla provvisorieta' e da un nemico silente ed enigmatico sempre in agguato.
I protagonisti e la propria terra scorrono paralleli e simbiotici nel fiume di una vita ricca di socialità' e pettegolezzi che ne alimentano la crescita ed il quotidiano.
Amos Oz e' unico nel plasmare una scrittura magica, mutevole, avvolgente, nel dosare perle di saggezza ( " non sono gli arabi il nostro nemico, ma è' l' odio. Cerchiamo tutti di non farci contagiare dall ' odio "..." ....Chi sa avere una vita interiore è' il vero ricco"..." ...quando una persona esprime giudizi sul prossimo, senza rendersene conto esprime se stessa..." "....solo chi è' intelligente e' in grado di cogliere l' intelligenza...") e creare una magica atmosfera d' insieme, tra personaggi, luoghi, tradizioni, simboli, cultura ebraica.
La difficolta', o, per contro la semplicità', sta nel leggere tra le pieghe del racconto il senso di compattezza e completezza che oltrepassa la narrazione e prevede un viaggio più' lungo e tortuoso.
È' per questo che ne consiglio vivamente la lettura, con un procedere lento, armonioso, centellinando e gustando ogni singola parola, rileggendo i passaggi più' significativi, soffermandosi ad ascoltare quelle voci, e quei silenzi, ad immaginare ed assaporare le bellezze descrittive di luoghi, gusti, suoni, luci e colori.
È' per questo che trovo riassuntivo ed esplicativo l' epilogo, oltre che di una bellezza disarmante, rivelandoci con pochi autentici tocchi il senso del racconto, la forza della poesia e della scrittura e la grandezza dell' autore: "....Sulla poltrona discosta cade un cerchio di luce. Nessuno ci è' seduto sopra. Non bisogna vedervi uomini e donne che appartengono a un altro luogo. No, si ha da ascoltare la pioggia che batte alle finestre. Guardare solo quelli che sono qui, in questa stanza calda. Guardare nitidamente. Essere lucidi. Assorbire le voci della grande famiglia. Prendere forza. Trattenere il respiro. Forse chiudere gli occhi. Chiamare quest' ultima scena con il nome di amore."
Buona lettura.

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Commenti

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Bella recensione. Oz è veramente un grande scrittore. In questa opera prima, quasi tutto ha già i'impronta della maturità letteraria.
In risposta ad un precedente commento

16 Febbraio, 2016
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Concordo, la grandezza dello scrittore e' già ampiamente visibile cosi' come la maturità' dei temi trattati.
2 risultati - visualizzati 1 - 2

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