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Fortuna, fors, fatum, sors.
Straordinaria complessità nel titolo del bellissimo romanzo di Claudia Pineiro “Piccoli colpi di fortuna”.
Il concetto stesso di “fortuna”, così come era inteso nella lingua latina, è legato ai termini “fors”, “fatum” e “sors” che in sé possono contenere una forte connotazione negativa.
Tutta la vita della protagonista è infatti condizionata da scelte di cui è parzialmente responsabile, si, ma il cui disgraziato esito è determinato dal caso, da un caso malauguratamente sfortunato. Un interrogativo si fa impellente su quanto la nostra vita sia condizionata dal libero arbitrio o quanto piuttosto da un fato prestabilito.
L’infelicità di Marilè è accentuata da un senso di colpa schiacciante, che la porta ad abbandonare il figlio per restituire a lui quel posto che gli spetta nella comunità di cui è parte e a se stessa la dignità di madre.
Un racconto sull’amore, la perdita, l’assenza, sulla solitudine e sul desiderio e la necessità del riscatto. Un racconto che si interroga e ci interroga su quanto sia giusto ritirarsi nell’ombra di un mondo sconosciuto o piuttosto combattere per non lasciare alcunché di incompreso e di incomprensibile. La Pineiro descrive il dolore nei suoi più intimi aspetti, la disperazione della solitudine e offre nella letteratura una via di scampo. Saranno i testi della Munro, di Tennessee Williams, della de Beauvoir a offrire qualche sollievo a Marilè. La letteratura è lì a rappresentare il dolore che agita l’animo umano, è lì a colmare sia pure in parte quel vuoto che crea l’assenza di chi si ama.
È nelle parole di Alice Munro che Marilè riconosce il proprio strazio e fa sua la sensibilità della scrittrice: “Questo dolore acuto. Diventerà cronico. Cronico vuol dire che perdurerà anche se forse non sarà costante. Può anche voler dire che non ne morirai. Non te ne libererai ma non ti ucciderà. Non lo avvertirai in ogni istante però non passerà molto tempo prima che torni a farti visita. E imparerai alcuni trucchi per mitigarlo o tenerlo a bada, cercando di non distruggere ciò che tanto dolore ti è costato.” (Le bambine restano)
La Pineiro sceglie di scrivere questo romanzo in prima persona: una scelta assai appropriata perché è la forma più idonea ad esprimere sentimenti così intimi, considerazioni così personali. Non un romanzo autobiografico, ma la biografia della protagonista, Marilè, che si racconta.
Un’opera che pur nella sua straziante narrazione offre uno spiraglio di speranza ad una vita che appare definitivamente distrutta di ricostruire le basi per un breve futuro di serenità.
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