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"È iniziato come un errore"
Charles Bukowski, tra gli autori più conosciuti del XX secolo, ha iniziato fin da giovane ad assecondare inclinazioni che lo hanno accompagnato per tutto il resto della vita. Tra queste la scrittura, un rapporto morboso con l’alcol e l’abitudine a frequentare l’ippodromo. Le donne sarebbero arrivate dopo, appena raggiunta una certa fama letteraria. Bukowski si è infatti dedicato a tempo pieno alla scrittura soltanto a partire dal 1969, all’età di 49 anni, adattandosi fino a quel momento a vivere grazie ad una serie infinita di lavori.
L’incarico più duraturo è stato quello di impiegato postale. E da questa esperienza lavorativa nasce “Post Office”, primo romanzo dell’autore, datato 1971.
Il protagonista è Henry Chinaski, personaggio letterario considerato un vero e proprio alter ego di Bukowski. È un ubriacone, un grande appassionato di corse di cavalli, ed accumula donne con la stessa velocità con cui cambia professione e residenze. Trova lavoro come impiegato postale, ma è convinto che tale mansione non si adatti al suo stile di vita. Troppi orari da rispettare, colleghi frustrati, regole rigide ed impregnate di moralismo, in una struttura lavorativa gerarchica che è metafora della società. E così lavora il meno possibile, accumulando una serie di provvedimenti e ammonizioni che a lungo termine avranno una sola possibile conseguenza. O salvezza, dipende dai punti di vista.
Con quanto affermato fino ad ora, “Post Office” potrebbe sembrare una denuncia sociale. Niente di più falso. Chinaski è un individuo fondamentalmente passivo, che passa le sue giornate in maniera quasi casuale. È un solitario, scollegato dalla realtà per quanto riguarda questioni politiche o socio-culturali. Non desidera infondere alcuna morale, o tantomeno comunicare il suo pensiero. E non è neanche un anticonformista, infatti più di una volta critica i simboli del movimento di controcultura tipico di quegli anni. È un perdente, che assiste al susseguirsi delle storie sentimentali, delle mansioni lavorative e delle giornate con la stessa indifferenza con cui scommette sulle corse dei cavalli. Tratta il fallimento con un sarcasmo che mal si addice all’ideale del sogno americano, permeato di determinazione ferrea e quotidiano duro lavoro. Ma nonostante tutto, Chinaski sa esattamente chi è. Un pregio non indifferente. Ed è, a modo suo, un lottatore, un incassatore di tutto rispetto in un universo umiliante e noioso.
In conclusione, guai a giudicare un libro dalla trama. Sotto strati sporchi di svogliatezza e apparente banalità, “Post Office” è un romanzo venato di malinconia e in grado di regalare amare verità.