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“Qualcuno che sa c’è sempre.”
Indridason è sempre una sorpresa. I racconti sono scarni, essenziali, diretti e crudi. Nessuna pietà o vittimismo. Semplicemente la narrazione è il centro di tutto. Si arricchisce durante la lettura del mio dolore, del mio dispiacere nello scoprire ciò che accade.
Tutto viene spiegato. Lentamente.
Un quartiere edificato di recente, vicino al lago Reynisvatn, detto “Quartiere del Millennio”.
Costruito sui pendii della collina di Grafarholt, sulla cui sommità, accanto agli enormi serbatoi d’acqua marroni della centrale geotermica, si è sviluppata una cittadella, dove in pochi anni sono via via sorte le varie abitazioni. In lontananza si intravedono le vecchie case di villeggiatura degli abitanti di Reykjavik.
E’ da qui che parte la ricostruzione di accadimenti successi tanti tanti anni fa…
“Erano sposati da tre mesi. …
Mi hai picchiata gli disse, portandosi la mano alla tempia. …
Credi che non me ne sia accorto? Che non abbia visto com’eri in calore? “
Non conosceva quel lato del suo carattere. Non l’aveva mai sentito usare quell’espressione.
Delle ossa vengono ritrovate nel Quartiere del Millennio. Uno scheletro risalente al 1930, vecchio di una settantina d’anni. Una mano tesa, rivolta verso l’alto come a chiedere aiuto induce a pensare che il seppellito fosse ancora vivo al momento della non-morte. Le costole sono rotte.
Omicidio?
C’era una casa vicino ai cespugli di ribes. Costruita negli anni Quaranta è stata demolita nel 1980. Un proprietario Benjamin Knudsen che l’ha data in affitto. La sua stessa fidanzata sparita in una giornata di primavera.
In quella casa a Grafarholt abitava una famiglia di cinque persone, una coppia con tre bambini, erano gli anni della guerra. La loro residenza non è mai stata dichiarata e quindi sono come mai esistiti.
Chi c’è lassù con lei? Non è più qui con me. E’ andata… aspetti, è lì accanto ai cespugli di ribes.
Che aspetto ha? E’..la conosce? Che aspetto ha? E’ come se fosse… storta. Ha un cappotto verde lungo fino alle caviglie.
S T O R T A.
Erlendur, coadiuvato da Elinborg, inizia le ricerche.
Elinborg. Età indefinibile, tra i quaranta e i cinquant’anni, rotonda ma non grassa, grande cuoca. Tre figli e un marito con la sua stessa passione per la cucina. Laurea in geologia praticamente inutilizzata.
Erlendur e una richiesta di auto, questa volta viva e concreta, attuale. E’ di Eva Lind. Lei l’ultima volta gli aveva detto che non voleva vederlo mai più. Quasi trent’anni, tossicodipendente. Poche notizie anche di Sindri Snaer. Erano piccoli quando Erlendur li aveva lasciati con la loro madre, che gli aveva poi impedito di vederli.
Sono le otto di sera. Cerca di coprire il chiarore primaverile con le tende, ma la luce trova comunque il modo di penetrare, raggi di sole polverosi che illuminano l’oscurità dell’appartamento. La primavera e l’estate non sono le sue stagioni preferite, troppa luce, troppa frivolezza. Vorrebbe inverni bui e pesanti.
C’è un bambino nella tempesta. Non deve aver paura. Lui l’ha accettato. Ha accettato quanto è successo. Non è stata colpa di nessuno.
La narrazione sembra procedere a tratti confusionaria. Vari personaggi e rispettive storie si rincorrono e si intrecciano. Pochi indizi e nessun punto di partenza certo. Di base il pretesto, forse, per denunciare comportamenti vecchi di una vita che si ripetono uguali oggi.
Reagire. A volte è tardi. Ma se è anche difesa non lo è mai abbastanza.
Sempre, il momento è adesso.
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Commenti
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Si anche a me. Ma mi ha anche tanto intristito.
Buone prossime letture.
Mariangela
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