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Siamo la somma dei nostri ricordi
Le nostre giornate trascorrono con una certa regolarità secondo lo schema largamente implementato del lavoro, svago e sonno; quindi ogni sera andiamo a letto seguendo un automatismo per indurci al riposo senza pensare a ciò che potrebbe accadere l’indomani mattina.
E’ ciò che succede alla protagonista di questo psico-thriller di Watson; ogni mattina Christine si sveglia credendo di avere poco meno di trenta anni, ma in realtà ne ha quasi cinquanta essendo la sua memoria è rimasta ferma a più di vent’anni prima a causa di un incidente che ha compromesso importanti funzioni cerebrali inerenti una rara forma di amnesia che cancella dalla sua mente i ricordi delle ultime ventiquattro ore…e tale situazione si ripete per decenni. In pratica ogni giorno è un ricominciare tutto da capo dall’istante precedente l’incidente che ha provocato tale grave patologia.
La vita della protagonista, anche se limitata a una giornata, è diventata un incubo; appena desta non si rende conto del posto dove si trova e della persona che dorme accanto a lei; non esiste passato e non è pensabile un futuro, solamente un eterno presente composto di frequenti flashback e dalla brama di farsi raccontare i più importanti episodi della sua vita degli ultimi decenni dalla persona che appare essere suo marito.
Una continua ansia penetra nella sua giornata; appena sveglia, dopo essersi guardata allo specchio e ricevuto raccomandazioni dall’uomo che vive con lei, riceve una particolare telefonata che le rammenta di cercare un diario, ben nascosto, dove la protagonista annota le sue vicissitudini presenti e passate al fine di conoscere chi è e chi è stata e ricominciare sempre daccapo; una vita circolare, una spirale senza fine, un vortice che potrebbe portare alla follia fino a quando non arriva il sonno…ecco quindi addormentarsi per risvegliarsi dopo alcune ore senza ricordare alcunché di quanto accaduto nel periodo nebuloso del suo segmento esistenziale.
In tali condizioni l’essere umano si astrae dal mondo esterno, fluttua in una dimensione atemporale, pensa al nonsense della propria esistenza indirizzata alla mancanza di ricordi e all’ancor più tragica consapevolezza di non poter progettare niente per il futuro immediato e a lungo termine. Le uniche ancore di salvezza sembrano il marito, che ha la pazienza di ripeterle giorno per giorno tutto ciò che ha vissuto, e un diario dove sono annotati, sempre giorno per giorno, i vari accadimenti quotidiani.
Ma anche questi “appigli”, queste “ancore”, potrebbero rappresentare un castello di sabbia pronto a sgretolarsi alla minima intemperia.
Un romanzo che si legge a perdifiato, che non dà tregua, forse perché ci si immedesima in una situazione remota ma non impossibile da verificarsi.