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Un borghese piccolo piccolo
Può esserci nella vita di un uomo un evento scatenante, un qualcosa che lo spinge a mutare, a comportarsi diversamente da come si è comportato fino a quel momento, come se all’improvviso decidesse di svegliarsi da un lungo sonno. E’ quello che avviene a Kees Popinga il protagonista di questo celebre romanzo di Simenon, ennesima prova di successo di questo fantastico scrittore, veramente dotato nell’analisi psicologica dei suoi protagonisti e capace di scandagliare in profondità l’animo umano.
Simenon riesce a descrivere la vera essenza di Popinga, distinto borghese che vive nella cittadina olandese di Groninga, al quale sembra andare tutto per il meglio: impiegato in una ditta di forniture navali, sposato con due figli, possiede una bella casa, è iscritto al locale circolo degli scacchi. La vita insomma sembra sorridergli, fino a quando un evento imprevisto come la perdita del posto di lavoro a seguito della bancarotta della ditta in cui lavora, lo scuotono dal torpore. Tutto è perduto quindi e Popinga decide di impulso di scappare, di prendere uno di quei tanti treni notturni che danno titolo al romanzo e che lui vede passare quotidianamente, solleticando la sua immaginazione che si diverte a fantasticare sui destini dei passeggeri. In breve Popinga raggiunge prima Amsterdam e poi Parigi, si spoglia dei propri freni inibitori e della sua immagine di borghese rassicurante e finalmente "comincia a vivere". Frequenta donne, locali notturni, entra in contatto con criminali, compie reati. Popinga si sente libero non deve più rendere conto a nessuno e come dice lui stesso:
“Per quarant’anni mi sono annoiato. Per quarant’anni ho guardato la vita come quel poverello che col naso appiccicato alla vetrina di una pasticceria guarda gli altri mangiare i dolci. Adesso so che i dolci sono di coloro che si danno da fare per prenderli”.
Questo romanzo mi ha fatto venire in mente tanto Pirandello quanto Pasolini perché proprio come i suddetti celebri scrittori, anche Simenon sembra volerci parlare dell’ipocrisia della classe borghese, dell’importanza dell’apparenza, dell’immagine che si deve mostrare per risultare rassicuranti ed inquadrati nella società, rinunciando a quella spontaneità più genuina in cambio della sicurezza generata dal possesso e dal consumo. Invece la vera anima del protagonista si palesa quando non ha più nulla da perdere ed è così che Popinga desidera presentarsi, ma nonostante tutto è come se la gente, l’opinione pubblica, i media ed anche la polizia che si mette sulle sue tracce a seguito dei reati compiuti, non lo capissero e continuassero a giudicarlo e descriverlo diversamente rispetto al suo essere più vero.