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Quel poco che ho da dire su Infinite Jest.
Scrivere una breve recensione su Infinite Jest è molto complicato, soprattutto data la vastità di informazioni ricavabili in quelle 1179 pagine più 100 di sole note. Però, nulla mi vieta di stare fermo e smettere di pigiare, con le dita, la tastiera della mia postazione PC.
Parto dall’idea, oramai consolidata nella mentalità letteraria, che Infinite Jest è il capolavoro che ha consacrato David Foster Wallace in quello scenario complesso che è la letteratura postmoderna. Infinite Jest è un mix di personaggi, vicende e lessici, (i quali il più delle volte propriamente wallaciani), che si mescolano in un vortice di idee che fanno leva sulla complessa realtà che David Foster Wallace crea in quelle numerose pagine. Il tutto va a confluire e concretizzarsi con la trama, molto articolata per un buon numero di 300 pagine, che, in seguito, si scoglie fino ad arrivare al nocciolo della questione. David Foster Wallace cerca di comunicare un tema fondamentale, nonché, a mio avviso, elemento essenziale per comprendere il libro: la Dipendenza. Dipendenza da droghe, alcool, successo, ma soprattutto dalla TV. Attraverso le parole e le vicende, a tratte bizzarre, dei singoli protagonisti e personaggi, il lettore viene catturato in un mondo fuori dal comune (per esempio, primo elemento che balza all’occhio è l’anno sponsorizzato), da chiedersi costantemente “lo scrittore dove vuole arrivare?”, e quando lo si fa proprio, quando finalmente si capisce la meccanica della trama, si viene catapultati in un mondo da cui uscirne non è un’impresa facile. Un po’ perché la curiosità diventa padrona nel lettore e un po’ perché staccare gli occhi da quelle bellissime pagine è difficile. È come se lo stesso libro diventasse uno Scherzo Infinito (traduzione consolidata nell’ottica italiana) e lo stesso Infinite Jest non diviene più un mero titolo, ma il libro stesso. La creazione di quel genio letterario diviene indipendente nel corso della lettura, e il lettore Dipendente dal libro stesso.
David Foster Wallace vuole arrivare a qualsiasi tipologia di lettore. Vuole comunicare, con un linguaggio che rimbalza dal semplice al complicato e dal comico al triste, la sua visione della realtà. A mio avviso, molte di queste meritano un’attenzione e analisi particolare, ma per motivi logistici non riporto. Anzi, invito al lettore, che sta leggendo questa recensione, di sottolineare, cerchiare, lavorare su quel libro, e magari, a conclusione dell’impresa, ritornare a leggere quei passi, perché David Foster Wallace ha la capacità di entrare (a volte in maniera viscerale) nelle coscienze di ogni individuo e farci sentire colpevoli di un qualcosa che magari non abbiamo fatto.
Ma, allo stesso tempo, David Foster Wallace (e Infinite Jest) ci sa sentire meno soli, come se la sua enorme presenza, che ahimè manca nello scenario letterario da ben otto anni, stesse al nostro fianco, pronto a sostenerci e a donarci, complessivamente, 1281 pagine di lezione di vita.
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Me lo confermi?