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Tu non mollare, Barney
Che dire di Barney Panofky? E' un essere umano, innanzitutto, nell'accezione più ampia del termine: non completamente colpevole né del tutto innocente.
Alle soglie della vecchiaia e con una memoria che comincia in modo inquietante a perdere colpi, decide di mettere nero su bianco la sua vita, di raccontare la sua versione dei fatti, visto che gli è rimasta appiccicata addosso un'accusa di omicidio, accusa suffragata dalla biografia di un suo vecchio amico-nemico.
Le frequenti digressioni sul mondo dell'hockey, soprattutto nelle prime pagine, mettono alla prova la pazienza del lettore, così come i discontinui salti temporali, ma certi episodi raccontati in modo impeccabile, con tono arguto, indolente, nostalgico, a volte persino poetico, rendono il romanzo degno di essere letto.
Ne esce, tra le righe, un uomo istintivamente generoso e più puro di quel che si creda, in contrasto col provocatore semialcolizzato e un po' carogna con tre matrimoni alle spalle (ma un solo unico vero amore).
Certo, la sincerità non sembra essere il suo forte (“sono un contaballe nato”) e forse è meglio non fidarsi troppo di uno che corregge lo champagne col cognac e che ha fatto soldi a palate con trasmissioni trash, ma in mezzo a tanta fuffa, tra “la puzza di stantio e di sogni infranti”, si intuisce un'onestà di fondo, quella di chi non ha più niente da perdere ma che vuole giocare la sua partita fino in fondo:
“...ho sputato la dentiera e me la sono infilata in tasca, mettendomi in posizione di combattimento, a guardia alta”.
Il finale, in effetti, riserverà una sorpresa, lasciando di stucco... chi non ci aveva creduto.
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