Dettagli Recensione
Miscelare con cautela
Il romanzo americano è stato spesso alimentato e nutrito nel corso del Novecento dalla potente voce narrativa di scrittori di origine ebraica. Immediato il riferimento a Isaac Bashevis Singer il cui tratto peculiare fu il recupero della lingua yiddish e con essa di un mondo e di una cultura scomparsi, o al fratello Israel Joshua Singer, meno osannato. L’elenco potrebbe proseguire con nomi quali Saul Bellow o Chaim Potok passando per Malamud e Roth in una evoluzione che la critica letteraria evidenzia essere, anche tramite la voce degli stessi scrittori, tesa ad una narrativa sempre più e solo americana in cui la componente ebraica, pur esistente, non rappresenta ora una connotazione di identità ma veicola l’universalità della condizione umana.
Malamud con Il commesso rappresenta appunto la realtà americana nella quale l’ebreo è cittadino al pari di un immigrato qualsiasi, al di là della sua origine. Anzi, entrambi i protagonisti del romanzo, Morris Bober, l’ebreo e il suo assistente di negozio Frank Alpine, italiano, l’uno complementare all’altro, sono le vittime di quel sogno americano che tanta umanità ha nutrito, americani compresi. Le loro esistenze si incrociano e si fondono nella periferia di New York, ai margini di un grande sogno, entrambi stranieri alla vita. Il concetto di estraneità è alla base dell’intera narrazione, alimenta i loro vissuti e le loro scelte: entrambi, quasi simbolo della irrisolta coabitazione del bene e del male che miscela ogni animo umano, forzano un territorio, un ambiente, un gruppo, imponendo la loro presenza. Lo fa Morris quando decide di aprire un negozio in un quartiere abitato da gentili, lo fa Frank quando si insinua in quello stesso negozio con fare subdolo e circospetto.
Tutto il romanzo punta a questa evoluzione, a questa complementarità, al possibile riscatto ( tipico dei personaggi malamudiani) e procede lento e ipnotico fino all’ennesimo finale aperto. Come in Una nuova vita anche qui l’arco temporale della narrazione, rigorosamente scandito dalle manifestazioni meteorologiche e da un intimo sentimento del tempo, meno di un anno ma dilatato e agognato, involve in se stesso e va a richiudere quella breccia aperta dal narratore come per capriccio, lasciando il lettore a immaginare sviluppi futuri.
Rimane un grande messaggio di fondo, lo stesso forse suggerito già a suo tempo da Shakespeare ne Il mercante di Venezia: l’uomo non è bene e non è male, né è la sua religione a certificarne l’essenza, tantomeno l’ortodossia o la meticolosità nell’osservarne riti e precetti. La bontà e la cattiveria sono trasversali all’animo umano, la differenza è il dosaggio tra le parti: non a tutti può riuscire.
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Commenti
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Approfondirò la conoscenza della letteratura americana di cultura ebraica, di cui ho letto poco.
Anche a me il libro è piaciuto. Penso che l'Autore meriti di essere approfondito.
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