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From the dawn to the disaster
Pastorale americana. Il titolo con cui Roth ha conseguito il Pulitzer nel 1997 e che racchiude in sé tutto e niente. La pastorale americana è il momento in cui, soprattutto nel Giorno del Ringraziamento, rancori, ideologie, insofferenze, piccoli dissidi, incongruenze vengono accantonate e taciute. Essa è “una moratoria sui cibi stravaganti e sulle curiose abitudini e sulle esclusività religiose”; con essa tutto tace come fosse una sottospecie di Natale laicizzato all’estremo. La pastorale americane è l’apice della convivialità, l’acme della fratellanza famigliare e quindi dell’amore parentale. In qualche modo è la vetta ideale della storia di Roth ma anche della contraddittoria Storia americana e, come è noto, dalla vetta si può solo cadere e rotolare a valle. Ed è questo il percorso che vede protagonista Seymour “lo Svedese” Levov.
La storia dello Svedese è narrata all’interno di una cornice narrativa che ha in Nathan Zuckerman, l’alter ego letterario di Roth, il suo fulcro. È Zuckerman infatti che, attraverso la sua seppur scarsa conoscenza personale dello Svedese, i ritagli di giornale relativi a lui ed alla sua famiglia, i due miseri incontri, peraltro praticamente insignificanti, con l’eroe universitario e le informazioni fornitegli da Jimmy, il fratello di Seymour, si cimenta nella stesura di un’anomala biografia dello stesso che si concretizza nella gran parte del romanzo e che, in modo anomalo, è composta da molteplici punti di vista. Sebbene le fila della narrazione siano tirate da un narratore in terza persona, esterno agli eventi, innumerevoli sono gli interventi dei personaggi, di Seymour Levov soprattutto i quali ci aiutano a farci strada nel disastro che, lentamente e inesorabilmente, si abbatte sulla sua vita. Roth ci presenta uno stile biografico tanto inconsueto da far dimenticare al lettore, a lungo andare, che tecnicamente dietro tutta la storia ci sarebbe il vecchio Zuckerman.
La storia di Roth è, come sempre nella sua prosa, l’intreccio inestricabile delle vicende umane, in qualche modo piccole, con la Storia vera e propria. Se ne “Il complotto contro l’America” gli eventi si muovono sullo sfondo della distopia che vede l’ascesa al potere dell’aviere filonazista Charles Lindbergh e se ne “La nostra gang” le vicende assumono i contorni di una critica politica esplicita in forma satirica, in questo romanzo la scenografia è rappresentata soprattutto dalle reazioni interne contro la politica militare americana nei confronti del Vietnam. È proprio questa vicenda che porta, per mezzo della strillante e folle figlia Merry, la guerra in casa. Per il ragionevole, razionale e tollerante Svedese, di famiglia ebrea ma non praticante, la bomba omicida messa dalla figlia all’interno dello spaccio del paese è l’inizio del declino. Da lì inizia la disgregazione lacerante della sua famiglia e quindi della sua vita. Merry fugge e si dà alla macchia mentre un’insolente ragazza lo umilia e lo tiene sotto scacco accusandolo senza ritegno di essere un cane capitalista in quanto proprietario di una fabbrica di guanti. La moglie, Dawn Dwyer, ex miss New Jersey cade in depressione e ricorre, come palliativo al suo dolore, alla chirurgia estetica. La vita dello Svedese viene sradicata e in un turbinio di pensieri, rimpianti, rabbie e contraddizioni si giunge ad uno splendido disastro.
La storia non corre su un unico binario ordinato e Roth gioca con il lettore trasportandolo, attraverso flashback, ricordi, reminiscenze, riflessioni, avanti e indietro nel tempo. Come se volesse punzecchiare la nostra rassicurante convinzione per cui la vita è qualcosa di ordinato, cronologicamente definito e da cui non si può scappare. Ma così non è perché nella nostra testa, con la facoltà del pensiero di cui l’uomo è dotato, noi possiamo muoverci tra passato, presente e futuro senza barriere e vincoli; tra ricordi gioiosi e rimembranze dolorose; tra il nostro io più profondo e la nostra superficialità. A conti fatti questo è lo Svedese che si dondola nella sua personalità tenace, controllata e fragile allo stesso tempo. Un uomo come tanti, un orgoglioso americano come tanti e un uomo come noi, come chiunque altro.
Da grande romanziere dell’America Roth lascia scorrere, forse leggermente sotto traccia ma comunque in evidenza, le sue considerazioni, i suoi apprezzamenti e le sue critiche al modello ed alla società americani. Esimendosi dall’affrontare questa sua prerogativa letteraria non sarebbe stato Philip Roth. L’autore traccia una panoramica ad ampio spettro dell’americanità, dei suoi pregi, dei suoi difetti e delle sue insanabili contraddizioni. Emerge la contestazione contro un sistema capitalistico spinto allo stremo che mangia forza lavoro e denaro senza guardare in faccia nessuno ma allo stesso modo la dote americana di affermarsi da solo, del self-made man che costruisce da zero viene esaltata dall’epopea famigliare dei Levov e non è un caso che Lou Levov, padre di Seymour, porti su un piedistallo Franklin Delano Roosevelt, colui che contribuì a sviluppare l’assioma a stelle e strisce dell’american dream. Il romanzo è ben più complesso rispetto a quanto ho scritto e ricco di miriadi di sfumature che una recensione non potrà mai esaurire; invito chiunque ami questo autore a cimentarsi con questo pezzo inarrivabile di bravura letteraria in cui lo stile di Roth non si discosta di molto dall’abilità del nostro Dante di misurare e adattare il linguaggio al contesto ed al passaggio letterario contingente.
“Perché non dovrei stare dove mi piace? Perché non dovrei stare con chi mi piace? Non è tutto qui, questo paese? Io voglio stare dove mi piace e non voglio stare dove non mi piace. Non è questo che significa essere americani?”
FM
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Commenti
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E tu?
Concordo comunque con Matelda : anch'o preferisco l'altro Roth; "La marcia di Radetzky" è proprio imperdibile.
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A me il libro è piaciuto molto, al contrario di altri testi dell'autore che mi hanno lasciato indifferente.