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Da cervello a mente
Doctorow ci regala un libro bellissimo che non mi aspettavo da lui, nel senso che ormai dopo Homer & Langley lo consideravo uno scrittore bravo ma freddino e forse anche un po’ noioso. Invece questo libro è veramente geniale. Era da un po’ che sentivo il bisogno di una lettura così: intelligente, stimolante, affascinante ma non gelida emotivamente. Un libro bellissimo, spero tanto che vinca qualche premio. Una lettura difficile, nel senso che il libro è di quelli da rileggere perché alcune sfumature anche importanti possono sfuggire a una prima rapida lettura. Il romanzo ha tante chiavi: filosofiche, politiche, esistenziali, umane. Parla di torri gemelle ma non nel modo in cui siamo abituati. Parla di nostalgia, di dolore, di incapacità di vivere. Parla di politica in modo esplicito facendo riferimento al presidente Bush Junior, ai suoi errori (ha invaso il paese sbagliato, doveva convivere con la sua incapacità ecc…). Parla dei retroscena della politica e infine dell’amore e dell’amore per i figli. Di figli ne parla nell’ultima pagina in modo commovente, quella su Twain.
E’ un libro sincero, intelligente, spiazzante, geniale che non lascia mai indifferenti e che in ogni sua riga arriva al cuore o al cervello del lettore o anche da tutte e due le parti. Un libro intelligentissimo che si interroga su come un blocco di carne (il cervello) possa diventare mente rendendo umano l’uomo. Come sostiene Wittgetstein , colui che comprese meglio di tutti gli inganni del cervello pensante, scrutare dentro se stessi è pericoloso. Si passa attraverso infiniti specchi di autoalienazione che servono a non conoscere se stessi, una specie di percorso a ostacoli. In un certo senso il romanzo si può considerare esso stesso un percorso a ostacoli di evoluzione dell’io narrante (Andrew) e del relativo cervello: da Impostore a cervello collettivo a Pazzo santo (ovvero Andrew, finalmente).
Per tutto il romanzo, Andrew parla di sé con un interlocutore Doc, che non si sa chi è: uno psicologo, Doctorow, la coscienza come suggerisce il titolo?
Andrew , scienziato cognitivo,è un disastro, un catalizzatore di guai: si sente una minaccia per le persone che ama. Causa la morte di un uomo in un incidente, del suo cane, della figlia, della moglie. Non che sia colpa sua, ma chi può dire che non è colpa sua? Lo troviamo all’inizio del romanzo che porta sua figlia avuta dalla seconda moglie alla prima moglie chiedendole di badare a lei. Forse ha paura che solo per la sua vicinanza possa accadere qualcosa alla piccola e vuole tenerla al sicuro. Viene apostrofato come Impostore. Impostore è uno non pienamente cosciente di se stesso e dei guai che causa agli altri.
Il romanzo traccia il percorso che va da Impostore a Uomo, ovvero da cervello a mente e quindi a coscienza senza scomodare l’anima, Dio, e la religione. E questo è molto interessante. Non ci sono scuse, ostacoli: la coscienza è la meta di ogni individuo credente o meno. L’uomo è il Pazzo santo, tappa finale del percorso. Questa definizione o qualcosa di simile la troviamo in vari testi riferita al cristiano autentico e sicuramente a Gesù. Ma E. L. rifiuta categoricamente di lasciare ai credenti la proprietà privata di un simile percorso. Sottolinea in veri punti del romanzo che Mente non è anima e che il discorso sulla Mente deve essere indipendente da Dio cui lui non crede. Anche il non credente deve fare quella strada, dunque, se vuole diventare Uomo.
Bellissimo quando Andrew racconta della sua esperienza alla casa bianca. Della sua verticale ginnica davanti al presidente e ai suoi uomini. Di come solo diventando un pazzo, un pazzo santo, si è sentito per la prima volta uomo, Andrew.
Cos’altro potevo essere se il mio vecchio compagno di stanza (Bush) era l’Impostore? Perché questo indubitabilmente era. E mai più io sarei stato un’altra persona a seconda delle circostanze. Sentivo il mio cervello che diventava me, eravamo compiuti, risolti in una sola cosa. Mentre venivo accompagnato alla porta, mi girai e dissi quello che avrebbe detto un Pazzo santo: Tu sei solo il peggio fino a ora, c’è ben di peggio a venire. Forse non domani. Forse non l’anno venturo, ma tu ci hai mostrato il sentiero per la Selva Oscura. Immagino che stessi interpretando Dante in quel momento. Al mio compagno di stanza non piacque sentire quelle parole. Eddai Androide, disse ad alta voce, rilassati. Mi stava chiedendo di ritrattare? Si aspettava la mia benedizione? Ma come avrei potuto? Ciò che rende santo un Pazzo è che piange per la sorte del proprio paese. Tenni la schiena dritta, rivolsi un cenno del capo alle guardie e loro mi portarono via.
Sembra che la condizione di Pazzo Santo non sia particolarmente felice: porta all'isolamento, alla reclusione, alla riflessione, allo specchiarsi impietoso di chi ha esaurito gli specchi di auto alienazione di Wittgetstein, al deludere gli amici per dire una verità che si sente vera, al trovarsi soli a tu per tu con quello psicologo esigente e intelligente cui non si può mai sfuggire che è la proprio coscienza.
Però non pensate a un libro dogmatico o peggio didascalico. E’ un libro semplicemente geniale.
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Ciao,
Manuela
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Ferruccio