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Il piccolo Alechin
C’era un tempo in cui Little Alechin non possedeva altro che il normalissimo nome datogli dai suoi genitori. Nato con le labbra chiuse, aperte solo mediante l’ausilio di un titubante chirurgo che aveva di poi medicato la ferita con un lembo di pelle dello stinco del piccolo stesso, provava grande nostalgia di quel silenzio, quello del suo primo giorno di vita.
Sin dalla tenera età si era dimostrato essere un bambino introverso, taciturno, amante degli spazi chiusi e della solitudine. Cresciuto con i nonni trovava rifugio nella terrazza dei Grandi Magazzini, in particolare l’angolo tra il muro del locale caldaie e la rete di protezione era il suo luogo di ristoro, di pace, dove si consolava e si cullava con il ricordo di Indira, elefantessa proveniente dall’India in occasione dell’apertura del centro commerciale.
A seguito della riscoperta del cadavere di un autista di autobus nella piscina della scuola aveva deciso di recarsi nel deposito ove questi venivano custoditi, nemmeno lui sapeva spiegarsi bene il perché sentiva solo la necessità di scoprire di più sull’uomo. Ma mai si sarebbe aspettato di trovare, all’interno di una vettura dismessa e ricoperta di rampicanti, arazzi, lampade liberty, posate d’argento ma soprattutto il gatto Pedone e il suo futuro Maestro. Si, perché è in questo mondo parallelo che il giovane conosce gli scacchi, perfeziona la sua tecnica ed inizia a praticarli giocando sotto il tavolino scacchiera con in braccio il piccolo micio esattamente come il «poeta della scacchiera» il Gran Maestro Aleksandr Alechin.
La morte del maestro è per il protagonista, al tempo undicenne, una grande perdita; egli rappresentava non soltanto il suo punto di riferimento ma anche l’unico collegamento che aveva con l’umano adulto. Tale dipartita raffigura la paura del crescere, per il bambino diventare grandi è la più terribile delle tragedie.
Ormai quindicenne gli viene proposto di prestare la sua arte nel Circolo in Fondo al mare, il suo compito sarebbe consistito nel guidare – nel completo anonimato – un automa costruito su immagine e somiglianza del campione Alesadr Alechin. Ad aiutarlo nello spostamento dei pezzi vi sarebbe stata una giovane ragazza, la sua Mummia, l’addetta alla registrazione con la sua misteriosa colomba bianca sulla spalla.
La figura femminile è per Little Alechin l’ultimo barlume di una vita vissuta, il resto della sua esistenza è consumato dentro e sotto l’immagine dell’automa. Perché egli non sa giocare sulla scacchiera, non sa essere sopra le cose, esso ha sempre vissuto sotto la scacchiera, dentro il fantoccio, al riparo dal mondo fuori.
La sua unica ragion d’essere è il creare poesia con il gioco degli scacchi. Non ha altro desiderio se non questo. Cosa c’è di più bello che regalare ai suoi avversari formulari impeccabili, compilati con la meravigliosa ed irriproducibile scrittura di Mummia, e di lasciarsi andare nel mare degli scacchi trasportato dall’Alfiere (Indira) e con in braccio il suo piccolo Pedone. Quale sensazione di pace è quella provata al completo buio nel burattino, dove la solitudine è parola, dove non vi è altro che il ricordo di quei giorni d felicità con il Maestro in quell’autobus dismesso.
A metà tra finzione e realtà, Yoko Ogawa accompagna il lettore nell’universo degli scacchi mediante la voce di un uomo che è purezza, innocenza, che è cultore dei valori, e che ha procrastinato la sua vita al fine ultimo del donare attimi fugaci ma indimenticabili.
Il suo più grande timore è da sempre il crescere, perché questo avrebbe significato per lui morte e perdita di tutto quello che aveva. Come avrebbe potuto continuare ad entrare nell’automa se il suo corpo fosse mutato, se la sua schiena fosse cresciuta di anche un solo centimetro? Avrebbe dovuto dire addio ad ogni sua certezza.
Un romanzo ottimo per gli amanti degli scacchi ma anche per chi desidera lasciarsi trasportare in questo mare di poesia, dove la vita non è lasciata scorrere via ma è vissuta nel suo semplice essere, per quello che è ma soprattutto perseguendo quelle che sono le nostre passioni e combattendo con quelli che invece ne sono i timori.
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