Dettagli Recensione
Sabotaggio d'amore di Amélie Nothomb
Un altro imperdibile romanzo di questa dissacrante scrittrice belga-giapponese (belga di origine, giapponese di nascita). È il terzo che leggo e non li sto leggendo in ordine di scrittura e in questo, che precede gli altri due, noto una leggera immaturità creativa (anche se, a mio avviso, è un altro piccolo capolavoro). La cultura giapponese, che le ha dato i natali, ha permeato la sua personalità, essendo quasi un fantasma che giace dentro di lei e fuoriesce all'occorrenza, arricchendola e donandole uno stile scarno e asciutto, ma efficace. Anche questo, come molti romanzi dell'autrice, é autobiografico e, nello specifico, parla della Nothomb settenne, che a differenza di ciò che pensavo, è un un piccolo maschiaccio scapestrato e indisciplinato. Immaginavo fosse stata una bambina pungente e fuori dalle regole, ma la credevo più borghese e "in". Invece era perfettamente integrata con il gruppo degli scapestrati del ghetto di Pechino dove viveva durante il triennio del padre ambasciatore in Cina (dai quattro ai sette anni della bambina), giocando alla guerra con i figli degli altri ambasciatori viventi nel ghetto. Una vita completamente diversa da quella che la bambina aveva vissuto in Giappone in precedenza e da quella che avrebbe vissuto subito dopo a New York: più rude, più povera, senza fronzoli. Una bambina lasciata un po' a sé stessa e alla cattiveria presente in quasi tutti i bambini, se lasciati liberi di agire come gli pare ("la libertà non si misurava in metri quadrati a disposizione. La libertà era trovarci finalmente abbandonati a noi stessi. Gli adulti non possono fare ai bambini regalo più bello che dimenticarli"). Infatti Amélie amava giocare alla guerra, picchiando e punendo i "nemici", non solo con le parole, ma anche con i gesti e le azioni ("la guerra era il più nobile dei giochi" e ancora "senza nemico l'essere umano è poca cosa. La sua vita è un tormento, un'oppressione di vuoto e di noia"). Una bambina che "odia i nemici", ma ama disperatamente Elena, la bambina italiana più bella del ghetto. Un angelo di cui Amélie si innamora al primo sguardo e per la quale fa pazzie, pericolose anche per la propria salute. Un piccolo diavolo che le insegna cos'è il vero amore, cosa significhi soffrire per amore e che, indirettamente, la istruisce sui modi per fare innamorare perdutamente di sé le persone (insegnamenti che saranno per lei preziosi da adolescente, quando al liceo americano farà innamorare decine di ragazzi e ragazze e li farà soffrire). Bello, lo consiglio a tutti gli amanti della scrittrice.
Io, di mio, continuerò a leggere libri della Nothomb, perché sono come le ciliegie.
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Con questa scrittrice non sono stato fortunato. Ho letto un solo libro, sbandierato come il più bello, però mi sono annoiato assai e non ho più avuto voglia di leggere altro dell'autrice.