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Marinai
Utilizzo alcune letture come komboloi, come talismani per passare da un periodo di vita ad un altro. Mi avvicino alle letture che odorano di mare. Incontro ventuno uomini e il gatto Maritsa: una comunità di marinai incatenata alle onde fra ricordi, segreti e illeciti compiuti.
Vivere sospesi, in fondo, è un modo di godersi la vita. Il romanzo racconta la capacità degli esseri umani, continuamente alla ricerca di equilibri. Mi appassionano, i marinai; molti, sono, anche, uomini del mare e sanno la difficoltà di tenere assieme l’andare e il tornare, la terra e il mare, la casa e la cabina, il mondo e il paese, il ritardo e l’assenza, il lavoro e la passione.
La storia non riesce ad essere triste, anche se le vicende spesso tolgono il sorriso. Il comandante Mitsos Avgustìs, lentamente diventato cieco, nega la malattia che lo riporterebbe a terra e continua a condurre la nave ed il suo equipaggio, avvalendosi della sua esperienza e del suo talento. Il cargo Athos III, diviene un ventre che protegge e che trattiene. Avgustìs è l’ulisse più autentico incontrato in letteratura, consapevole, sapiente antico, intuitivo nel governo. Forse perché ha più di settant’anni!
Come Edipo sconfitto, incredulo, spaventato e arrogante, Avgustìs apprende a vedere con le mani, con il respiro, con l’odore, con la mente e con il cuore e … si vede.
Nuovo Tiresia, cieco perché ha visto la nudità e ne ha previsto l’evoluzione, il comandante è vigile, ad auscultare l’aria, la terra, l’acqua e il fuoco e a riprendersi le presenze, i colleghi, la moglie Flora e Litsa, l’amante di una vita, il figlio e le figlie.
Avgustìs sa che tornare significa ricominciare e ricontrattare spazi e tempi. A tornare si corre il rischio di essere felici, conoscendo il desiderio. Tornare, talvolta, è per sempre.
Interessanti le figure femminili incontrate nella storia, donne rapite dal mare, più che mogli e amanti di marinai. Donne della contemplazione e dell’attività, dell’attesa e della scelta. Esse capiscono che la libertà, libera da ogni legame, è soltanto solitudine. E’ così che diventano guide.
Ioanna Karistiani, che nel 2007 ha vinto il Premio nazionale per il miglior romanzo greco, sa bene che sentirsi marinai e marinaie è uno stato della mente e del cuore. Non si smette mai di essere, ciascuno per sé, mare.
“La sensualità vive a lungo come gli elefanti e i rimorsi non muoiono mai, ce n’è sempre uno da risuscitare se ci si prova con insistenza, se lo si desidera davvero, quanto ad Avgustìs, alle tre del mattino era prontissimo a vagare nello spazio sterminato del suo inferno.
La tristezza è un luogo, un giardino di amarezze. Anche la paura è un luogo, simile a una gola tenebrosa, così come la solitudine, un deserto dove la notte fa molto freddo, più in là si trovano i terreni sassosi della sofferenza e i sentieri remoti del desiderio. Il dolore ha la mole delle montagne, l’ebbrezza del dolore costituisce uno stato sovrano e i rimorsi formano un continente.”p.158
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