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Le stelle di qui son diverse dalle stelle di Toky
“Il paese delle nevi” immaginato da Yasunari Kawabata è la destinazione ove si reca, con cadenza annuale (“È passato un anno. Voi siete di quelli che vengono una volta all’anno”), l’esteta Shimamura.
Uomo di cultura (“Da studente il suo interesse si era rivolto alla danza giapponese e al dramma mimato… Egli improvvisamente si rivolse alla danza occidentale”), dalla raffinata sensibilità (“Forse con l’inclinazione naturale del pigro ai colori mimetici, Shimamura aveva un’istintiva sensibilità per lo spirito dei posti che visitava e aveva avvertito appena sceso dalle montagne che, sotto l’aspetto di nuda frugalità, un’atmosfera di indolente comodità spirava in quel villaggio”) e dall’intelletto vivace (“L’espressione «energie sciupate» si riaffacciò alla mente di Shimamura”), tra i bagni termali e le passeggiate in montagna (“Fermò una massaggiatrice cieca sulla collina”), coltiva con la bella Komako una relazione sfaccettata nella quale sensualità, gelosie e complicati equilibri sociali si fondono grazie all’atmosfera allusiva e sottintesa che Kawabata addensa.
Di notevole impatto sono i colori (“Fuori dalla finestra il rosso luminoso dei kaki maturi era bagnato dal sole morente”) che il Maestro giapponese riproduce componendo ideogrammi, ma anche la capacità di rappresentare attraverso gli spettacoli naturali (“Era la stagione in cui le tarme depongono le uova”) della morte (“Passava molto del suo tempo a osservare gli insetti nella loro agonia mortale”) le ansie tragiche (“Le catene dei monti in lontananza avevano già il rosso dell’autunno nel sole morente. Quell’unica macchia di verde pallido lo colpì stranamente come il colore della morte”) che si accalcano su una vicenda diafana (“Era una dolce morte che veniva con il mutare della stagione”) e sfumata (“Egli vide la figura come un fantasma di un mondo irreale”).
Potenti i contrasti tra ghiaccio e nevi, vapori termali, il fuoco di un incendio (“Komako lottava per farsi strada e pareva portare il proprio olocausto, o la propria punizione”) che nel finale divampa (“La sua cadaverica immobilità, simile a quella della marionetta”).
Giudizio finale: cromatico, estetizzante, innamorato delle tradizioni.
“Barcollò per ritrovare il suo equilibrio, il capo riverso, e la Via Lattea si precipitò dentro di lui con un ruggito”
Bruno Elpis
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Commenti
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Penso che dovrei rileggerlo perche' ho la certezza che oggi lo apprezzerei di piu', tra l'altro rievoca luoghi innevati che ho molto amato viaggiandoci, e che spesso mi tornano in mente.
Meraviglia quella tua ultima riga di giudizio finale, una riga di sintesi perfetta per Kawabata ( ho letto tra l'altro da poco Il lago , pero' la redazione tarda a pubblicare la scheda.)
@ Mario: Sì, ho letto il tuo commento! :-)
@ Cub: Attendo il tuo commento a "Il lago"... Kawabata e Mishima come Cimabue e Giotto? :-)
Sono in attesa di ricevere una chicca di Mishima assolutamente fuori catalogo :-( che ho pagato come l'oro. Non sto piu' nella pelle! Si chiama LA COPPA DI APOLLO. Conosci ?
Appena puoi, devi farci sapere!
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Condivido. Kawabata è uno scrittore raffinatissimo. Tra le sue opere che ho letto, questo libro è secondo solo a Mille Gru e alla continuazione di quest' ultimo, Il Disegno del Piviere.