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Fra accidia e resa sapiente
Nel ’67 George Perec, trentenne, scrive di un giovane che decide di non alzarsi, di non prendere l’autobus per la Sorbona, di non sostenere la prima prova scritta di sociologia generale.
Leggendo, penso ai treni che non ho perso, agli appuntamenti mai mancati, con precisione, puntualità, decisione e impazienza. Io non ce l’ho la “vocazione alla calma”(p.31). E, adesso, indago e mi intriga il sottile confine fra l’accidia e la resa sapiente. Fra gli indizi di un comportamento depressivo e la scoperta del riposo e dell’affido. E’ il momento dell’Uomo che dorme, imparando a durare senza memoria, senza spavento, senza desideri, senza risentimenti, senza ribellione.
“Sei un pigro, un sonnambulo, un’ostrica,… vuoi soltanto durare, vuoi soltanto aspettare e dimenticare…: intorno a te, da sempre, hai visto privilegiare l’azione, i grandi progetti, l’entusiasmo: l’uomo proteso in avanti, l’uomo con lo sguardo fisso all’orizzonte, l’uomo che guarda dritto davanti a sé.”p.27
E’ buono permettersi il lusso della fragilità psicologica, della chiusura, il lusso di un posto e di un tempo della follia, per non impazzire davvero.
Considero il romanzo, né il capolavoro di un genio, né la miserabile espressione di quel Laboratorio di letteratura potenziale (Oulipo, Ouvroir de littérature potentielle) che, negli anni ’60, divenne modalità di difesa e di distacco da una cultura onnipotente per giovani come Perec, Queneau, Calvino. Piuttosto, la storia narrata è la fotografia di un momento di vacuum per consentire la ripresa del processo di crescita. L’indifferenza non esiste e ogni essere umano è nel viaggio anche durante la pausa e lo scacco.
“Hai come l’impressione che potresti rimanere tutta la vita davanti a un albero senza poterlo esaurire, senza poterlo capire, dato che non c’è niente da capire, c’è soltanto da guardare: in fin dei conti tutto ciò che puoi dire di quest’albero è che è un albero; tutto ciò che quest’albero può dirti è che è un albero: radice, tronco, rami, foglie. Da lui non puoi aspettarti nessun’altra verità. L’albero non ha nessuna morale da proporti, nessun messaggio da consegnarti… non potrai mai essere padrone dell’albero. Potrai solo, a tua volta, voler essere albero”p.43
Apprendo a darmi il permesso alla ripetitività di una gestualità difensiva. Ad utilizzare il tempo dei rituali e dei passatempi, registrando dati fenomenologici. Continuare a stare, a negarsi e a rinnegare, come lo scrivano di Melville che risponde sempre: preferirei di no, . Così, ogni persona agisce lo straniamento, il commiato da un copione che non funziona più. Non morte, ma allontanamento per disintossicarsi. Non deriva nevrotica, ma protezione. Non rottura violenta, ma gentile trasformazione.
Ed è dalla confidenza con l’ombra che ci si rimette al mondo. La vita si compie avviando processi di attaccamento e di adattamento. I percorsi personali di libertà partono dalla costruzione della struttura, dal riconoscimento delle regole, dal vincolo e dalla costrizione, contrainte.
Unica maestra, la realtà!
“No. Non sei più il padrone anonimo del mondo, quello su cui la storia non aveva presa, quello che non sentiva cadere la pioggia, che non vedeva venire la notte. Non sei più l’inaccessibile, il limpido, il trasparente. Hai paura e aspetti. Aspetti, in Place Clichy, che la pioggia cessi di cadere”p.144
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Commenti
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Bello il tuo commento. Dell'autore ho letto un solo libro, e non ne ho cercato un secondo!