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Luis, o scrivi in italiano o in mapuche
La piccola lucciola si appoggia sul naso, intiepidisce col minuscolo corpo quel lembo di pelle nuda del bel lupo. Lui si riscalda, fissa gli occhi sul luccichio e inizia il racconto di quel triste giorno in cui perse tutto.
L'ultima favola di Sepùlveda ci offre un contenuto gia' sentito molte volte, forse per questo l'autore vuole contrassegnarlo con qualcosa che lo distingua dai suoi predecessori.
Ecco allora una marcia indietro nel tempo verso le fiabe raccontate dal prozio nel sud del Cile, un mapuche, che al calare del sole ipnotizzava i bimbi con storie narrate nella sua lingua.
Parole straniere a noi sconosciute, di cui si avvale l'autore per dare una collocazione geografica e umana al racconto, un intento di originalita' probabilmente, una debolezza sentimentale forse.
L'effetto del miscuglio proposto e' a mio avviso alquanto spiacevole, questi vocaboli inseriti in continuazione accanto all' indispensabile traduzione riescono a rendere zoppicante anche un testo tanto breve e semplice.
In sintesi graziosa la storia come sempre avviene nelle fiabe del Cileno, ottimo l'intento, ma manca di un'idea originale e lo stile ha un esito pruriginoso.
In questo caso ritengo la potenziale diffusione del libro un evento direttamente proporzionale al nome altisonante di chi l'ha prodotta, non credo questo racconto farebbe molta strada altrimenti.
Peccato, poteva essere il ritorno di una gradevole compagnia .
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