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La presenza che insegna
“Il mare si oscura – grida di ore selvatiche – vago biancore”
La narrativa giapponese mi cura, mi accudisce con dolcezza e lievità, con la luce di un autunno anticipato per dolore. Il mio apprendimento è negli haiku di Bash? che, naturalmente, all’inizio, innervosiscono il mio udito di animale occidentale.
Non mi riconosco una lettrice voyeuse ed evito le storie d’amore urlate, spiate, sofferte. Non sono interessata all’esito finale dell’intreccio amoroso, ma alla trasformazione dell’amore nelle situazioni diverse dell’esistenza.
Tsukiko, un nome formato da due ideogrammi, luna e bambina, a 38 anni, nubile, sola e solitaria, rincontra casualmente e frequenta saltuariamente, soccorsa dal caso, il prof, come lei lo chiama, suo docente di liceo, settantenne e vedovo. Tsukiko, come me, mangia mele per riflettere: “Non è con la me stessa visibile che sto parlando, ma con quella invisibile, con la parvenza infinitesima di me che fluttua per la stanza.”p.66
“Camminiamo insieme, uno accanto all’altra”p.160, è il proposito ed è il contratto di apprendimento che non verranno mai meno fra Tsukiko e il professore. Andar per cimiteri e passeggiare amorevolmente fra le tombe non è per i due rituale macabro. È la metafora dell’innamoramento verso la guida genitoriale, come il passaggio naturale verso l’autonomia dell’età adulta. I due vivono una simbiosi accuditiva che svanisce con l’alba della maturità.
“Diamoci appuntamento” assume valore di un’attesa, di un richiamo, di una promessa, di una possibilità, gustando manicaretti giapponesi, innaffiati da molto sake: balena affumicata, alghe sott'aceto, fagioli fermentati con tonno, frittelle di radice di loto. Infine, i due personaggi si ritrovano senza darsi appuntamento, condividono cibo senza lunghi sguardi né dialoghi, si lasciano amare l’un l’altra con la delicata presenza.
Mi abituo all’idea che in una relazione è anche l’aspetto inespresso, negato, provvisorio che dura e che riconduce all’infinito e all’amore. Da lettrice occidentale abituata al peso della rivoluzione e della rottura, riscopro il cambiamento lento delle stagioni, il ricordo dolce-amaro, la cortesia e la discrezione dei monosillabi, le interazioni riservate, la profondità delle confidenze delicate.
Il professore rimane solenne, noto con il suo cognome, solo, perché è il ruolo di maestro che conta. Il suo amore si esprime nella guida, nell’accompagnamento. Harutsuna, si chiama, e lo saprò nell’ultima pagina, nella cartella vuota: non può che essere vuota, perché tutto è stato consegnato.
E’ un libro come un’operazione chirurgica sull’anima, fatta con il bisturi che sfiora lievemente. Il dolore arriverà dopo e non svanirà. E l’invito a vedere i ciliegi in fiore varrà per sempre, mentre la pace, sorella lontana, mi sorride sorniona da ogni pagina.
“Cresce perché lo nutri… L’amore più o meno si riduce a questo… Se era un grande amore, era indispensabile prendersene cura, come si fa con una pianta dandole fertilizzanti e proteggendola dalla neve. Se invece era un amore da poco, bastava non occuparsene e si poteva stare tranquilli che prima o poi sarebbe morto.”p.146
“Ho smesso di chiedermi con angoscia quali siano le sue intenzioni. Non cerchiamo di rendere il nostro rapporto né più intimo né più distante. Lui da vero gentiluomo, io da vera signora. Una relazione delicata. Delicata, durevole, e priva di particolari aspettative. Ormai è deciso così, per quanto io cerchi di avvicinarmi, lui non mi permette di farlo. Come se tra noi ci fosse un muro d’aria. In apparenza una barriera morbida, che non offre resistenza, ma quando si prova a comprimerla, rimanda indietro ogni cosa.”p.157/58
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