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Gatto da favola
“Non è che non mi piacessero i gatti: semplicemente mi sentivo diverso da quelli a cui piacciono. O forse, più che altro, non avevo familiarità con quegli animali.”p.8
Talvolta voglio solo la favola. E questa è una storia gentile e ariosa. Ed è raccontata da un poeta giapponese a me sconosciuto, Hiraide Takashi che si permette il lusso della trasparenza, del fluire lento dei fatti, della semplicità che dondola, della nenia che ispira.
Chibi, la gatta, rimane l’ospite non cercata, la compagnia non richiesta, il fastidio che si poteva evitare. Silenziosa, s’infila, non miagola, guarda lei, la correttrice notturna di bozze, e guarda lui, il redattore mortificato, tutti e due abbastanza infelici, stranieri a se stessi. Nella casa padronale alla periferia di Tokio la felina s’impone come un fenomeno naturale, come il fulmine, come la nuvola e non rispetta i confini e si intrufola e va e viene al ritmo delle sue zampette.
“- Per me, - disse, - Chibi è una buona amica a forma di gatto!”p.39
La storia accade alla fine degli anni ottanta e alla fine del regno dell’imperatore Hirohito, a cui segue la bolla speculativa: pare che sia il caso a governare gli eventi e a generare confusione. Ma il destino è Chibi, l’esterno che invade, l’intrusa che chiarisce. La gatta crea sospetto e indifferenza, i coniugi non la vogliono ma si dispiacciono, non la cercano ma non l’allontanano.
Chibi è solo una gatta ma è l’imprevisto che s’impone, la presenza che rallenta, la pigrizia che innervosisce, la sonnolenza che ritempra, è lo scatto immediato e pronto che s’incanta.
Ed è subito romanzo, ed è poesia, è diario, è memoria, è cambiamento.
“Chibi fu il nostro primo . I sono delle persone che girano per le case a fare gli auguri per il nuovo anno. Caso singolare, il beneaugurate in questione entrò dalla finestra e, per di più, non disse neanche una parola d’augurio. Però sembrava sapere esattamente come inchinarsi in un bel saluto con le zampette anteriori unite davanti a sé.”p.35-36
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