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Una cosa divertente che non farò mai più
 
Una cosa divertente che non farò mai più 2015-10-23 13:39:50 lapis
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
lapis Opinione inserita da lapis    23 Ottobre, 2015
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Fragile genialità

A tutti è capitato di vivere una situazione in cui ci si aspettava da noi divertimento e allegria e che si è rivelata invece un’esperienza da dimenticare, in cui ci si è sentiti un po’ pesci fuor d’acqua. Solo il talento letterario, la capacità di osservazione e l’intelligenza analitica di David Foster Wallace sono in grado di trasformare un’esperienza di questo tipo in un’opera d’arte.

Una cosa divertente che non farò mai più è un reportage, commissionato dalla rivista Harper’s, su una settimana di crociera ai Caraibi. Ma non solo. L’autore, da osservatore intelligente e un po’ schizofrenico, estende il suo sguardo ovunque: sull’industria del divertimento, sulle persone, sulle dinamiche sociali dei crocieristi, su se stesso.

Ne esce innanzitutto un quadro lucido e ironico del turista medio e dei suoi comportamenti, che non fatichiamo a ritrovare nel nostro vissuto. Chi non riconosce “Capitan Video” costantemente occupato a riprendere con la telecamera, o la mania di giustificarsi di essere andati in vacanza solo perché stanchi/malati/stressati, sempre per bisogno - mai per piacere, oppure la frenesia di chi non vuole perdersi nemmeno una delle attività micro-organizzate, in preda all’ossessione di “sfruttare” ogni minuto? Queste descrizioni ci strappano un sorriso, è vero, ma non sono volte a ridicolizzare o grottescamente calcare la mano, anzi, al lettore viene presentata una rappresentazione rispettosa. Sta a lui poi decidere come interpretarla o come riconoscersi.

Tutti devono essere ricchi e felici, il cielo deve essere blu, il viaggio deve essere indimenticabile. L’industria del divertimento crea così una bolla di benessere e opulenza, di omologazione e di totale annullamento, facendo leva proprio sul bisogno dell’uomo di appartenere a un gruppo. E tutti sorridono in questa vacuità programmata, senza nemmeno accorgersi che a viziarti è un equipaggio di immigrati malpagati che coccolano per contratto e paura del licenziamento.

David Foster Wallace è in grado di guardarsi intorno e leggere i meccanismi della macchina di business in cui si trova immerso con lucidità di analisi, competenza (si vedano le mille note a piè di pagina piene di dettagli su ogni cosa, persino i dati tecnici) e talento letterario, coniando espressioni e similitudini originalissime. Nonostante ciò, non appare come l’intellettuale che teorizza e giudica dall’alto della sua torre d’avorio. Anzi, cerca di leggere introspettivamente se stesso e le sue reazioni a questo mondo di benessere costruito e vuota finzione. E ne esce un uomo fragile, agorafobico, che non riesce a ritrovarsi nei riti e nei meccanismi del gruppo di crocieristi ma, quando chiede la cena in camera per ritrovare i suoi spazi di solitudine, sparge fogli sul letto per dissimulare una presunta occupazione che non lo faccia apparire un sociopatico agli occhi del cameriere. E non ci sembra allora così distante da tutti noi, con i suoi malesseri interiori, le sue insicurezze, i suoi pensieri fuori dal coro e le sue contraddizioni.

E alla fine non possiamo che ammirarne la genialità, così straordinariamente fuori dal comune, e provare empatia per le sue sensazioni, così semplicemente fragili.
Da leggere.

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