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Le cose che non vogliamo più
 
Le cose che non vogliamo più 2015-10-23 06:42:49 Natalizia Dagostino
Voto medio 
 
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
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Opinione inserita da Natalizia Dagostino    23 Ottobre, 2015

Verso l'essenziale

Qual è la spazzatura della nostra vita?
Quando c’è troppa spazzatura non considerata, c’è troppo di tutto, ed è come niente.

Al Festivaletteratura di Mantova nel 2008 e nel 2010 partecipa il quarantenne gallese Cynan Jones che osa una scrittura senza ciarpame, essenziale, secca, che sceglie il linguaggio delle piccole cose, del quotidiano. I personaggi vivono le mancanze, riflettono sugli scarti, considerano la salvezza che c’è nei rifiuti. Le rappresentano la vita ordinaria che, assoggettata al pensiero, diviene consapevolezza e che riparte dal caso, dal disordine e dalla calma.

Convincente la copertina bianca, silenziosa, che sa di pensiero e di tempo. Così i personaggi, netturbini, camionisti e rappresentanti, hanno cura del presente attraverso i gesti ripetitivi e rassicuranti di una strutturazione minima. Ogni paragrafo dona il silenzio e il respiro di una persona rinunciataria, di un’anima appesa fra la spazzatura e i desideri.

Alan, il netturbino che sta lasciando Fiona e la figlia Gemma, Ben, Callum, Suzie, Jenny, tutti considerano che p.77, perché fanno pensare all’alleggerimento, alla pulizia, alla liberazione che anticipa l’odore di pulito della libertà.

E’ un librocura, alla ricerca di una quotidianità ordinata, nobile ed eccezionale. La spazzatura è una parte di esistenza, è l’origine, il caos, la puzza, è la confusione attraverso la quale si intravedono strade nuove. Riscopro una sorta di sapienza della spazzatura, sapienza di antico e di storia.

Ritrovo il senso delle cose escluse, anche il senso delle persone escluse, magari per confermarne la presenza. p.78 è, in fondo, il rifiuto dell’ossessione, la rassicurazione di autonomia, il conforto del non detto.

L’identità ferita e la ritrovata intimità sono negli spazi bianchi, nel non ancora deciso, in quel che accadrà. Non c’è attesa, piuttosto sospensione. Imparare a stare, senza ansie, a rivedere lentamente, a pulire con garbo, a buttar via e a scegliere di conservare. L’immondizia prodotta è la più chiara visione di ogni persona e, se ben analizzata e utilizzata, contribuirà al cambiamento.

Capisco e apprezzo il lavoro della traduttrice Gioia Guerzoni che annota nell’ultima pagina: “La sfida maggiore della traduzione… è stata quella di accettare di perdere qualcosa… ho tentato di scegliere le parole più discrete e invisibili, per fare in modo che si posassero quasi di soppiatto nel testo.”

“Sono le cose che buttiamo via, non le cose che raccogliamo. Quello che non facciamo. Quello che non prendiamo. Le cose che non diciamo. È il processo di scoprire quello che non vogliamo, alla fine, e non quello che facciamo. Buttarli via, non convivere con gli scarti. Ed è dura quando scopriamo di non volere qualcosa che pensavamo di volere tanto, oppure a volte non arriviamo nemmeno a scoprirlo.”p.166

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