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Ricordami così
 
Ricordami così 2015-09-08 21:30:47 Rollo Tommasi
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4.5
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4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    08 Settembre, 2015
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Il senso del nucleo

Dopo quattro anni dalla sparizione di Justin, della famiglia Campbell non rimangono che i cocci. Laura, la madre, non ha più ritrovato se stessa, si trascura e trascura quella casa a cui si dedicava con zelo quando ancora vedeva attorno a sé una famiglia; passa il suo tempo libero al Marine Lab, dove è inserita nei turni di osservazione di un delfino. Eric, il padre, si sforza di non insegnare stancamente la storia ai suoi alunni; sovente si rifugia da Tracy, la moglie di un amico con la quale intrattiene una relazione extraconiugale. Griff, il fratello minore, studia e si dedica a complicate e pericolose evoluzioni con lo skateboard, del quale è ormai padrone: volare in aria su una tavola con le ruote è ciò che meglio gli ricorda Justin. Cecil, il nonno, continua a guardare al mondo con la sua visione burbera e solida delle cose, ma dentro di sé si chiede chi sarà il primo a crollare definitivamente e quando; e si rende conto che il più fragile è forse proprio suo figlio Eric.
Salvo che nei peggiori momenti di scoramento, nessuno di loro vuole pensare che Justin non ci sia più. Ed hanno ragione. Perché una mattina come le altre giunge la telefonata che aspettavano da quattro anni: Justin è vivo, è stato riconosciuto al mercato delle pulci da una donna anziana che gli stava vendendo due topolini vivi.
La famiglia si precipita a recuperare quel ragazzo che ormai ha quindici anni, e che per tutto il tempo è rimasto in zona, vittima di un aguzzino di nome Dwight Buford.
E' il liberatorio epilogo di quella brutta vicenda, o piuttosto il suo difficile inizio?

“Ricordami così” è un'opera intensa, coraggiosa, che coniuga una silenziosa spietatezza con uno sguardo caldo e pietoso sul dramma umano. E' un libro destinato a lasciare un segno in chi lo legge.
Difficile anche spiegare quanto sia bravo Johnston a dare il senso dello smarrimento e del dolore, dello stillicidio. Lo si può capire solo leggendo il libro, consapevoli che la scelta fondamentale dell'autore è quella di lasciare nell'ombra i quattro terribili anni vissuti da Justin (l'adolescenza rubata da uno squilibrato) e concentrarsi sul senso di “dissoluzione” che fa apparire una famiglia inutile come un puzzle del quale si siano persi molti pezzi.
La solidità del racconto è nell'abilità di narrare tutto ciò attraverso i più piccoli particolari, nella capacità di scavare così profondamente nella reazioni di una famiglia (intesa prima come nucleo di sangue e poi come intera cittadina) e nei rapporti tra i suoi membri.
Un romanzo scritto da un ex-skater americano – il primo, preceduto solo dalla raccolta di racconti "Corpus Christi" – in modo molto poco “americano”.
Fino all'epilogo, che lascia intravedere una diversa possibilità sull'ultimo atto di quel dramma: in fondo è più quello che gli esseri umani si tacciono reciprocamente che non ciò che essi si rivelano, anche quando si tratta di due fratelli, di una moglie e di un marito.
Di quell'epilogo vale la pena riportare almeno l'inizio:

“Immagina di uccidere un uomo. La risolutezza. L'irreversibile e indicibile isolamento che ne segue. Immagina di arrivare al punto di rinunciare a te stesso, e a tutta la vita che è venuta prima e al futuro che avevi sognato, con la consapevolezza che dopo niente e nessuno sarà più uguale. Immagina che così uccidi anche te stesso, perché questo significa uccidere un uomo, e che, dopo, l'esistenza sarà solo su due piani. Vera e contemporaneamente finta. Arriverai a vedere il mondo come lo vede un animale, senza giudizio, senza speranza né pietà, e a non credere più che qualcosa – la grazia, la Storia, gli esiti del tuo gesto, la vergogna o Dio – sia più importante di quello che desideri proteggere.”

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