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E compagnia cantante…
“Le canzoni di Narayama” di Scichiro Fukazawa sono impregnate di buddismo (“La canzone della festa del Bon del villaggio”, la festa buddista dei morti) e riecheggiano in un paesino del Giappone, ove la miseria regna sovrana e i ladri sono puniti duramente (“La punizione consiste nell’appropriarsi delle provviste che appartengono alla famiglia del colpevole”).
Da “Le canzoni di Narayama” trapelano pratiche (“Si sballotta con molta forza, in modo che il bambino sulle spalle non possa nemmeno aprire la bocca, più che sballottare è una maniera di maltrattare”) e mentalità aliene, per le quali una donna di settant’anni non può avere i denti belli (“Anche invecchiando non gliene era caduto nemmeno uno, e per O Rin questo era diventato un motivo di vergogna”), e ciò e motivo di derisione (“La vecchia diavolessa del ceppo, questo ormai si diceva di lei dietro le sue spalle”), né è opportuno vivere troppo a lungo (“Se Matsu-yan metteva questo bambino al mondo, lei avrebbe dovuto vedere il sorcetto”), perché significa sottrarre risorse agli altri.
La storia ha una protagonista, l’anziana O Rin, matriarca che si preoccupa di procacciare moglie al recalcitrante figlio vedovo Tappei (“Ormai queste cose non m’interessano più tanto… ah, ah, ah”): è l’ultimo atto prima del tanto atteso pellegrinaggio a Narayama (“O Rin non pensava ad altro che al pellegrinaggio di Narayama”), da compiersi nell’assoluta osservanza di regole scaramantiche (“La tradizione diceva che se nevica il giorno nel quale si va a Narayama… la.. sorte è buona”).
Dopo una veglia iniziatica durante la quale i più esperti rivelano particolari e tradizioni (“Narayama, dove abita un Dio , è una montagna molto lontana a cui si giunge passando sette vallate e tre stagni”), la vecchia silenziosamente s’incammina verso la montagna, accompagnata dal figlio. Il finale è orribilmente cromatico nella contrapposizione tra il bianco della neve e delle ossa umane e il nero di corvi-becchini padroni di Narayama.
Giudizio finale: etnico, cantilenante, agghiacciante.
Bruno Elpis
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