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Un’epica epopea
Attraverso tre generazioni, Mo Yan ripercorre uno dei momenti più turbolenti della millenaria e affascinante storia cinese, l’opposizione all’invasione giapponese nella prima metà del secolo scorso. Ma quello che il Nobel propone non è un vero e proprio romanzo storico, piuttosto l’epica epopea di una famiglia di produttori di vino travolta dagli eventi e divenuta, volente o nolente, protagonista esemplare della resistenza ai “diavoli”. La voce narrante, ultimo rampollo della suddetta dinastia, racconta le gesta dei nonni paterni e dei suoi genitori, ora affascinando il lettore con sprazzi di delicata poesia, di suggestiva tradizione, di incantevole romanticismo, ora mettendolo in apprensione con spaventosi episodi di inaudita violenza, con momenti di grande suspense, con un realismo spesso cinico e disincantato. Un ottimo equilibrio in cui, tra l’altro, non mancano momenti di riflessione filosofica, di critica politica e di dolce e amara ironia. Il racconto non segue un vero filo logico né una precisa sequenza temporale, la narrazione salta continuamente da un episodio ad un altro, in un turbine di flashback che tuttavia non infastidisce né rende difficoltosa la lettura. Siamo nel distretto di Gaomi, nella parte più orientale della Cina, una zona quasi abbandonata a se stessa da un governo centrale lontano e indifferente. La principale fonte di sostentamento per la gente del posto è il sorgo, un cereale che necessita di poche cure ma che, crescendo forte e rigoglioso anche su terreni non particolarmente fertili, si offre a diversi utilizzi, da quello alimentare a quello etilico, finanche a quello tessile. Le sconfinate distese di sorgo sono la principale, quasi unica, scenografia di un racconto che si svolge quasi interamente all’aperto e sono rotte soltanto dall’impetuoso scorrere del “dio fiume” Moshui. Si parte dalla tormentata storia d’amore tra la bellissima Dai Fengliang, costretta a sposare un ricco e lebbroso produttore di vino di sorgo, e l’irrequieto Yu Zhan'ao, da cui nasce Yu Douguan, padre del narratore. Zhan'ao, un portantino divenuto bandito, tira fuori Fengliang dagli orrori di un matrimonio indesiderato, ne diviene amante, dipendente, compagno, la abbandona per un’altra donna ma poi torna tra le sue braccia. “La nonna e il nonno si amarono in un campo di sorgo rigoglioso di vita; i loro spiriti liberi, incuranti delle convenzioni umane, aderirono l’uno all’altro ancor più strettamente dei loro corpi beati. Ararono le nuvole e seminarono la pioggia in quel campo di sorgo, arricchendo l’interessante storia della zona a nord est di Gaomi di un attimo di felicità. Mio padre fu concepito con l’essenza del cielo e della terra, fu il frutto di sofferenza e gioia intense.” Una bellissima parentesi romantica in un contesto crudele e spietato in cui la violenza la fa da padrona, tra migliaia di morti, punizioni corporali, torture e stupri. Zhan'ao diventa il temuto e carismatico Comandante Yu e, affiancato da Douguan, guida un folto gruppo di ribelli contro gli invasori giapponesi e i loro lacchè collaborazionisti, in quella che, oltre ad una guerra di resistenza, diventa anche una sorta di guerra civile in cui si formano diverse fazioni e il popolo cinese, incapace di far fronte comune contro il nemico, si ritrova diviso tra rossi, nazionalisti e banditi, gruppi tristemente in competizione e, spesso, in vera e propria battaglia tra loro. Non ci sono buoni, non lo sono neanche i cani, comunemente conosciuti come i migliori amici dell’uomo. L’odore del sangue che stalla nell’aria, i milioni di cadaveri disseminati nei campi e tra le rovine dei villaggi, risvegliano in questi animali istinti primordiali tutt’altro che amichevoli, portandoli in qualche modo ad entrare in guerra con l’uomo. Gli unici buoni sono il sorgo rosso e il fiume Moshui. Il sorgo che nutre, che dà l’ebrezza, che nasconde i vivi e dà sepoltura ai morti, rosso come il sangue che scorre, come la passione che brucia, come il fuoco che divampa in ogni dove, rosso come le labbra sensuali della bella Lian'er e come la volpe dalla lingua miracolosa. Ed il fiume, che disseta e dà fertilita, che scorre tra i fusti di sorgo raccogliendo cadaveri e lavando la terra del sangue versato, ma incapace purtroppo di lavare la coscienza degli uomini. “Gocce d’acqua argentee cadevano oblique sui fusti tremanti. Nei campi, sottili germogli di sorgo giallo chiaro, fioriti fuori stagione, si mescolavano ai vecchi fusti caduti, alla pioggia e alla nebbia. L’odore dei germogli verdi si mescolava all’odore di marcio dei fusti spezzati, al lezzo dei cadaveri, al fetore dell’urina e degli escrementi dei cani. Mio padre e gli altri avevano di fronte un mondo terribile, sporco, in cui prosperava una vitalità malvagia.”
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Commenti
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La tua recensione, molto bella e molto interessante, mi conferma nella mia resistenza a leggere questo autore, sicuramente di grandissimo talento, che probabilmente conduce il lettore in una realtà che ora vorrei non percepire. Ciò che ci porta verso un autore piuttosto che un altro di pari qualità appartiene all'insondabile, o quasi.
dalla tua bela recensione si percepisce quanto tu l'abbia apprezzato!.
@Emilio: grazie Emilio, hai ragione, a volte succede che un autore, per quanto bravo e apprezzato possa essere, proprio non riesce ad attirarci. In questo caso spero che tu, più in là, possa riuscire a vincere le tue resistenze nei confronti di Mo Yan, perchè credo proprio che valga la pena leggerlo.
@Rollo: grazie Rollo, tu l'hai letto?
@Silvia: grazie Silvia. Anche io, come te, l'ho apprezzato molto. Stile, trama, contenuti, tutto di prim'ordine. Devo ringraziare anche la tua recensione se mi sono deciso a leggerlo.
Federica
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Da un po' medito di avvicinarmi alla Cina (lessi soltanto "La buona terra" molti molti anni fa) e questo libro mi attende. Credo che abbia appena fatto un deciso balzo in avanti! Ancora grazie.