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Voci dopo la guerra
Il libro di Tahmima Anam si svolge su due piani temporali diversi che però s’intersecano, si passa dagli eventi post bellici alla situazione del Paese tredici anni dopo. I due protagonisti sono Maya e il fratello Sohail il cui legame un tempo molto forte è stato indebolito dalle ferite e dalle incomprensioni che la guerra ha inciso culla loro pelle.
Tematica chiave del romanzo è il tentativo di ogni persona di andare avanti e cercare di ricostruirsi un futuro dopo gli orrori della guerra, tentativo che si rispecchia nel fanatismo religioso di Sohail che lo porta a bruciare tutti i suoi libri ad eccezione del Corano. Manon è solo Sohail ad essere cambiato, anche Maya ha dovuto assistere al triste spettacolo di ragazze stuprate dai soldati nemici e in quanto medico ha avuto l’obbligo di indurle ad accettare l’aborto dei “figli del nemico”, i germi maligni che avrebbero contaminato il neonato Bangladesh.
Attraverso il personaggio di Maya veniamo posti di fronte al dilemma religioso, il suo atteggiamento verso l’islamismo è ambiguo: da un lato lo odia perché gli ha rubato il fratello che conosceva ma dall’altro non sono rari i suoi temporanei avvicinamenti al gruppo di preghiera, il fascino che le parole del Corano possono sprigionare, la sensazione di essere quasi cullati dalle voci cantilenanti delle donne in preghiera.
Dall’altro capo abbiamo Sohail che ha combattuto durante la guerra e ha trovato rifugio nella religione trasformando la casa in una moschea, annunciando il Corano dalla sommità della sua dimora ma trascurando il figlio nato dal matrimonio. Il piccolo Zaid cresce abbandonato a se stesso privo di istruzione, secondo me rappresenta in quanto bambino il futuro del paese che però viene trascurato, mantenuto nell’ignoranza. Infatti, Zaid ruba denaro, imbroglia nei giochi, veste di stracci e nessuno si cura troppo di lui ad eccezione di Maya che farà di tutto per salvarlo, per cercare anche di espiare i suoi sensi di colpa verso tutti i bambini ai quali ha privato la possibilità di vivere. Secondo me l’autrice ha cercato di lanciare un messaggio importante sul futuro del paese attraverso Zaid e il finale del libro lo conferma. l finale è dolce amaro perché lascia spazio alla speranza ma con un’amarezza che rivela la necessità di cambiamento, di puntare tutte le forze sui giovani, sui piccoli, sul futuro del Paese.
L’aspetto che penso sia più importante nel romanzo è la voce, la voce come parole, come canto,come preghiera. La voce di Maya che canta tutte le canzoni che conosce per dissuadere il fratello a bruciare i libri, il canto che si fa ipnotico, che continua in mezzo alle fiamme. La voce di Ammoo, la madre di Maya e Sohail che lenisce le pene del figlio leggendo il Corano fuori dalla porta della sua camera, non immaginando le conseguenze del suo gesto. La voce della preghiera, dei canti sacri ad Allah che maya odia e ama. La voce delle parole che sono sempre fonte di incomprensione tra Maya e Sohail ed infine, la voce di Piah, ragazza salvata da Sohail che trova il coraggio di raccontare davanti ad un pubblico di uditori gli orrori della guerra che l’hanno colpita, senza vergogna senza presentarsi come l’eroina che lo Stato ipocrito considera.
La tensione si mantiene alta durante tutto il libro e i fatti sono svelati con sapienza nello svolgimento della storia, la quale rimane sempre interessante con picchi ricchi di pathos, soprattutto nella parte finale e non decade mai. Lo stile mi è sembrato chiaro, a tratti poetico e in generale coinvolgente, ricco di sfumature differenti, duttile e capace di cambiare velocemente dalla dimensione onirica a quella razionale della quotidianità.