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CAPARBIETA'
La metropoli gremita di folla alienata in cui il linguista Budai si trova dopo un viaggio in aereo forse per errore o chissà per un complotto o magari perché punito da un Dio in cui non crede non ha neppure un nome: è certo un luogo situato in una zona di confine fra il reale e l’immaginario, o almeno è così che il protagonista la vede. A ricordare le città grandi in cui abitiamo, sono le periferie grigie e sterminate, i grattacieli, le zone a luci rosse, il mercato, i grandi alberghi anonimi, i monumenti nel centro, la metropolitane, il traffico incessante e la ressa di gente; non solo ma come in ogni città del mondo la Storia vi lascia le sue pesanti impronte. Rivolte di massa, esecuzioni violente, e la condizione miserabili di chi è emarginato, esperienze che il benestante studioso si trova a dover vivere, trovandosi senza soldi e privato della sua identità in un luogo in cui si parla un idioma per lui indecifrabile. L’impossibilità di comunicare in una delle tante lingue che il glottologo Budai padroneggia è ciò che rende inverosimile, un vero e proprio scenario da incubo la metropoli. Non riuscendo a capire e a farsi capire tutto assume la forma di una visione onirica: le case, le strade, la prostituta in lacrime, il portiere dell’albergo, Epepe/ Pepe, Bebe, Edede, la ragazza dal nome incerto, con cui si scambia cenni d’intesa e tenerezza. Da questo punto di vista “Epepe”, pubblicata dallo scrittore ungherese Ferenc Karinthy( 1921-1992) nel 1970, è uno dei tanti libri che raccontano l’immersione dell’uomo in una distopia dalle origini indefinibili. Inevitabile poi il rimando a Kafka. Tuttavia il libro ha una sua originalità che può essere sintetizzato nella caparbietà incrollabile del suo eroe: Budai coglie la sfida della situazione irrisolvibile, non si arrende, prega Dio nel caso esista di non sopprimere il lui la pietà ovvero la forza di essere uomo e come tale di vivere sempre e comunque di speranza.