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Mai è un sacco di tempo
“La strada”, premio Pulitzer 2007 a Cormack McCarthy, è un romanzo post-apocalittico con due protagonisti: l’uomo e il bambino (“Il bambino era l’unica cosa che lo separava dalla morte”).
Si è verificata una catastrofe (nucleare?) e il mondo si spalanca desolato (“Impiegarono interi giorni per attraversare quella piana cauterizzata”) e devastato (“Tutto era ridotto in cenere”) davanti agli occhi dei pochi sopravvissuti. Il clima è mutato (“Lungo l’arido crinale, alberi scorticati e neri sotto la pioggia”) e i paesaggi sono desertici e grigi. Il padre intraprende il viaggio (“E stiamo sempre andando a sud”) con il figlioletto: i due sono i buoni, forse sono l’ultima chance per rifondare un’umanità distrutta, spaventata e condannata alla solitudine (“Perché non c’è nessuno a cui fare dei segnali. Giusto?”). Si aggirano con un carrello nel quale ripongono i viveri; una pistola è l’unico strumento di difesa del quale dispongono (“Tieni sempre la pistola con te. Devi trovare altri buoni, ma non puoi permetterti di correre rischi… Non puoi. Devi portare il fuoco”).
Il viaggio si svolge tra pericoli, stenti (“Stavano veramente morendo di fame”) e segnali preoccupanti (“Uno schianto fra gli alberi”). Le soste avvengono in prossimità di case abbandonate o bunker che talvolta celano l’orrore, del quale il bambino prende consapevolezza (“Non sapeva se il bambino avrebbe mai ripreso a parlare”).
Lungo il percorso, i due s’imbattono in esuli solitari o bande di superstiti (“Avanzavano strusciando i piedi nella cenere e dondolando le teste incappucciate. Alcuni portavano maschere antigas. Uno aveva una tuta antiradiazioni”) che spesso praticano il cannibalismo (“Se li mangeranno, vero?”). Quando arrivano al mare, la delusione s’impossessa del bambino (“La pelle cerea del bambino ormai era quasi trasparente”), che si ammala. Anche l’uomo si sente sempre più debole e una tosse insistente lo affligge…
Lo stile dell’autore si tronca in periodi brevi, spesso costituiti da singole parole; i dialoghi sono rapidissimi e mai in forma esplicita. L’atmosfera catastrofica incombe sull’intero romanzo che, nel finale, si squarcia in una prospettiva incerta, degna della luce minacciosa che illumina tutta la storia (“La traccia di un sole smorto che si muoveva invisibile oltre le tenebre”). Che sia avvertimento, futuro possibile o pericolo da scongiurare (“Migliaia di notti a sognare i sogni della fantasia di un bambino, mondi di volta in volta generosi o terrificanti ma mai il mondo che sarebbe stato davvero”), il romanzo entra direttamente nelle vene di chi lo legge. Ed è destinato a rimanervi (“Mai è l’assenza di qualsiasi tempo”).
Bruno Elpis
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il tema che poni è decisamente interessante. Concordo con te: la letteratura americana è sprovvista della profondità evocativa che possiedono, ad esempio, la narrativa europea e – scoperta mia recente – il romanzo giapponese. La letteratura europea, in particolare, affonda le sue radici nella classicità e nelle poderose tradizioni nazionali che hanno permesso l’affermarsi di romanticismo, decadentismo ed esistenzialismo, tanto per citare soltanto alcune delle “correnti” letterarie a me più care. Non è raro pertanto imbattersi in romanzi dei nostri giorni che abbiano un “vissuto” percepibile nello stille, nelle parole e perfino nelle intonazioni.
Nonostante questa premessa, sono un estimatore della letteratura contemporanea americana: da Poe a Fante, passando per Scott Fitzgerald e il teatro di Tennessee Williams, per citare soltanto alcuni dei miei autori preferiti. Ritengo che spesso l’empirismo e il pragmatismo, che impregnano la letteratura americana, talvolta esprimano risultati che perfettamente interpretano la nostra contemporaneità.
Concordo poi con te: cosa sarebbe stato questo romanzo, “La strada”, se nei protagonisti fosse stato possibile scorgere il mito di Prometeo e se l’incontro con la freddezza dell’oceano fosse stato pervaso dalla nostra “mediterraneità”?
Un caro saluto,
Bruno
concordo con il tuo pensiero. Aggiungerei che la differenza risiede nell'eleganza e nell'abilità della mano che regge la penna. Deve saper trasmettere al lettore emozioni e pensieri...
non l'ho letto
.Scorrendo la tua bella recensione mi sembra di rivedere'', CODICE GENESI''.
ciao e a presto!
paola
b
Speriamo comunque che questo non sia il nostro futuro o quello dei nostri figli.
grazie per il bentornata.sei sempre very nice!
a preso paola
ciao paola
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Come sempre, un bel commento.
Anch'io ritengo si tratti di un libro ad alto livello letterario; però, ad eccezione di qualche momento nel dialogo fra i due protagonisti, non sono stato coinvolto emotivamente, addirittura con momenti di sconfinamento nella noia.
Mi chiedo se gli scrittori americani senza una cultura e una tradizione profonde (come, ad esempoi, in Potok) questo sia il massimo che possano dare. Ampliando il discorso, che cosa ne pensi tu?