Dettagli Recensione
"Bomba o non bomba, noi..."?
SPOILER
(Anche su "Ritratto di Signora" di H. James e su "L'Età dell'Innocenza" di E. Wharton).
In genere ce n’è uno per classe.
Di Svedese, intendo.
Quel compagno che riesce benissimo in tutte le materie, ma non si appassiona a nessuna. Che prende il massimo di fisica, come di latino, di chimica come di inglese, di filosofia come di matematica; ed eccelle pure in ginnastica, disegno e musica… ah, e fa anche dei temi tanto bellini.
E non è il solito “secchione” smunto, brufoloso, con il colorito verdino e un po’ stronzetto.
In genere è belloccio, generoso, pronto a dare una mano a tutti e a fare da “mediatore” con eventuali docenti furiosi.
Il protagonista di Pastorale Americana di Roth è proprio come GianMaria De Carolis della 3°B.
Poco importa che si chiami Seymour Levov, detto “Svedese”.
Uomo di mille talenti e di nessuna passione.
Vive, si impegna e riesce benissimo in quello che fa. Senza provarne piacere o soddisfazione alcuna. Fa quello che va fatto e che ci si aspetta da lui.
Sempre.
Si “comporta bene”, come avrebbe detto mia nonna.
Ho letto questo libro poco dopo “Stoner” e forse proprio per questo il contrasto fra i due protagonisti mi è parso tanto forte.
Un uomo con mille qualità e nessuna passione.
Un altro con poche qualità e una passione.
Fino circa alla metà del libro, ho pensato che Roth stesse facendo una critica storico/sociale a certa America attraverso il suo “campione” Seymour Levov. Ossia che il perfetto americano, modellato a tavolino con il DAS fosse, in realtà, insipido, vacuo, noioso e tendenzialmente insopportabile.
Pensavo che lo Svedese fosse percepito così da tutti e addirittura, “così” nelle intenzioni del suo autore.
Scambiando qualche impressione con altri lettori, ho capito che no. Non era così.
Ho scoperto, invece, che lo Svedese è un personaggio in genere amato, positivo, in cui il lettore tende ad identificarsi (il fatto che io lo abbia detestato, come personaggio, e non sia mai riuscita ad empatizzare con lui è il motivo del "3" in "piacevolezza").
Ciò mi ha portato a riflettere su altre figure letterarie.
E ad esempio a pensare che Seymour Levov sia il diretto discendente di Newland Archer, protagonista di “L’età dell’Innocenza” di Wharton e anche di Isabelle Archer, protagonista di “Ritratto di Signora” di Henry James.
Due personaggi i cui autori tendono a “dirci” spesso le qualità: oh sì, la cara Isabel è tanto intelligente, acuta e smaniosa di libertà, cultura, indipendenza, dice Henry James.
In realtà, dalle azioni di Isabel, emerge un’ochetta a cui aver ereditato qualche soldino dà alla testa, con un talento particolare per scansare potenziali mariti ben intenzionati e cadere nelle braccia del primo personaggio con un qualche neurone in capo, che ovviamente la sfrutta e la rende infelice (e che la mocciosa fosse figlia dell’ “amica del cuore” lo avevamo capito tutti. Dalla terza riga. Tutti. Tranne l’intelligentissima Isabel).
Invece Newland Archer è davvero pieno di qualità: Wharton lo descrive belloccio, intelligente, appassionato (a cosa?), ma soprattutto, oh sì, innamorato.
Innamorato, ma tanto, della povera Olenska. Tanto amore. Ma tanto tanto, da far impallidire, al confronto, la debole infatuazione per la piccola, scialba, convenzionale May.
Solo che, al momento di fare qualcosa, di prendere una decisione… la piccola May tira fuori un minimo di piglio e il buon Newland e tutto il suo amore si sciolgono come neve al sole.
(Tutta la mia simpatia alla povera May che ha pure lottato per accaparrarsi un simile catafalco, e che la buona Olenska vada ad accendere un cero per grazia ricevuta)
L’opposto del mio amatissimo William Stoner. Lui sì che la passione la conosce.
Una (la letteratura) che poi gliene fa scoprire un’altra (l’insegnamento).
Passioni “vere” che mettono in secondo piano tutto il resto, che fanno fare al nostro scelte difficili, impopolari, dolorose quasi senza che il lettore se ne accorga.
Non spiegoni, non grandi dichiarazioni di intenti.
Fatti. Discreti e minuti.
Comunque, dal dinamico duo Archer&Archer (con buona pace dei coniugi Levov) salta fuori lo Svedese.
L’orgoglio di una famiglia, di una comunità, di una nazione.
Campione sportivo, soldato, figlio perfetto. Partito dalla gavetta più dura (la famiglia ha una fabbrica di guanti da donna), diventa un “imprenditore” illuminato. Si innamora di Miss New Jersey (che è cattolica, mentre i Levov sono ebrei), supera qualche contrasto con il padre (anche se, in realtà, è Miss New Jersey a superarli, scopriremo dopo), la sposa, vanno a vivere nelle casa dei sogni e mettono al mondo una bambina, Meredith, detta Merry. Naturalmente lo Svedese è folgorato dalla beltade, vivacità, intelligenza della sua creatura.
Tale abbacinante perfezione, però, ha una pecca.
La piccola balbetta.
E nonostante il padre perfetto della famiglia perfetta, per la figlia (quasi) perfetta metta in campo le umane e le divine, il problema non si risolve.
Come sempre accade, con l’adolescenza, i problemi crescono in modo esponenziale.
E lo Svedese non sa come comportarsi.
Quello che ci si aspetta da lui è che sia un “buon padre”, ma le indicazioni non sono precise. Se è stato relativamente facile essere un buon figlio/studente/soldato/imprenditore/marito la casella “padre” non vede una votazione molto alta. Lui si impegna, va detto. Ci prova in ogni modo.
Prova a non essere come il fratello Jerry, collerico ed impulsivo, prova a non essere come suo padre, autoritario e rigido, prova a fare il padre/amico. Con risultati disastrosi.
Nei “dialoghi su New York” in cui si riportano i pacati, razionali e misurati discorsi dello Svedese a Merry quello che alla fine stupisce è che la ragazza non gli abbia dato fuoco.
È così noioso, banale e politically correct da irritare non solo un’adolescente arrabbiata, ma anche chi lo sia stato anche solo per un quarto d’ora nella vita, adolescente ed arrabbiato.
Priva di guida Merry involve nell’estremismo più violento e caotico e la situazione si trascina fino alla drammatica svolta.
Merry mette un bomba all’ufficio postale di Newark, causando la morte di un innocente per poi darsi alla macchia.
Per la famiglia Levov è per lo Svedese è un colpo mortale.
La famiglia, nel momento in cui si sente veramente americana dopo tre generazioni di dura gavetta, si vede ri-precipitata (o così si percepisce) nel novero dei “non graditi”.
E lo Svedese si vede servire il suo primo-unico-e-completo fallimento nell’unica cosa in cui aveva investito davvero sentimenti ed energie.
In cui non si era limitato a fare “quello che ci si aspettava da lui” ma aveva davvero cercato di mettersi in gioco.
E da qui in poi la scrittura di Roth, che in genere è sublime, diventa geniale. Perché attraverso la narrazione di episodi della vita dello Svedese – senza continuità cronologica – impariamo davvero a conoscerlo come personaggio. Capiamo che il suo principale problema è non comprendere la natura degli altri e, alla fine neppure la propria. In questa lunga narrazione abbiamo momenti di epifania – in cui in effetti lo Svedese sembra comprendere davvero – come quello in cui capisce che i ragazzi che vanno a mettere le bombe sono quelli normali, non gli altri, e momenti in cui, penosamente, ritorna sui sentieri già percorsi.
Il punto più drammatico è il momentaneo ritrovamento della figlia.
Merry vive miseramente in un sottopassaggio, a Newark, dopo aver abbracciato una qualche filosofia non violenta, che – fra l’altro – le impedisce di lavarsi per non fare male all’acqua, la costringe ad andare in giro con un collant intorno alla bocca per non fare del male agli organismi dell’aria e simili amenità. Apprendiamo che ha ucciso altre tre persone (credo prima della svolta non-violenta) e che nelle sue peregrinazioni è stata stuprata un paio di volte.
In questa situazione drammatica, orribile, tremenda in cui si trova, con una figlia traumatizzata, denutrita, francamente – secondo me – ad un passo dalla demenza… lo Svedese di mette a ragionare con Merry, sul perché stia seguendo questa filosofia di vita, su perché tale filosofia sia nata e prosperi solo in India etc etc.
Lei argomenta assurdamente, come sempre, e dice che non tornerà mai.
Affranto lo Svedese si allontana e preso dalla disperazione chiama l’unico fratello che ha, il sanguigno Jerry.
Questo dialogo, secondo me è il punto centrale di tutto il romanzo.
Jerry, nel suo modo brutale e spiccio, esorta Seymour all’azione e si offre di aiutarlo. Di fronte al “blocco” delle Svedese (che non può “costringere” Merry a tornare a casa, perché lei non vuole) Jerry dice quelle che sembrano le prime parole di buon senso sulla questione:
«Al diavolo quello che vuole lei. Rimonta su quella cazzo di macchina, va’ là e tirala fuori per i capelli da quella stanza del cazzo. Dalle dei sedativi. Legala. Ma portala via. Ascoltami. Tu sei paralizzato. Non sono io quello che crede che avere una famiglia unita sia la cosa più importante di questo mondo… Sei tu. Rimonta su quella macchina e valla a prendere.»
Ma lo Svedese è paralizzato davvero.
E l’irascibile Jerry trova il modo superare il complesso di “essere il fratello minore” – sfigato – di Seymour Levov, fornendo un ritratto impietoso e sostanzialmente veritiero di tale (supposta) perfezione.
Lo Svedese ama le persone (moglie e figlia) come oggetti, perché diversamente dovrebbe ammettere di poter perdere il controllo. Cerca sempre di minimizzare, accontentare, fare quello che gli altri si aspettano da lui. Politically correct. Non sceglie mai. Sono sempre gli altri a farlo per lui e a lasciare correre.
E lo Svedese ci prova ad abbozzare una difesa.
Che c’è di male a fare quello che è giusto? Ad essere un uomo per bene? Un buon cittadino americano?
E sempre Jerry risponde.
«Credi di sapere cos’è un uomo? Tu non hai idea di cos’è un uomo. Credi di sapere cos’è una figlia? Tu non hai idea di cos’è una figlia. Credi di sapere cos’è questo paese? Tu non hai idea di che cos’è questo paese. Hai un’immagine falsa di ogni cosa.
Sai cos’è un guanto, cazzo. Ecco l’unica cosa che sai. (…) Una famiglia tiranneggiata dai guanti, bastonata dai guanti, l’unica cosa che conti nella vita, guanti da donna.»
E il povero Seymour, distrutto dall’aver ottenuto una tale dichiarazione di odio, nel momento in cui aveva più bisogno di aiuto, ritorna mestamente a casa. Da solo. E non condivide neppure con la moglie e i genitori quanto ha appreso su Merry, per non ferirli.
Ma dopo il “discorso” di Jerry, le “epifanie” si moltiplicano. Dawn (la moglie) non ha mai amato la loro “casa dei sogni” e non vede l’ora di andarsene, dopo un lifting che l’ha – di fatto – riconciliata con l’universo mondo, alla faccia del dolore per la figlia bombarola.
Di più. Dawn ha un amante. L’architetto che sta progettando la nuova casa e che è un vero americano WASP.
E lo Svedese ci prova ad avere una reazione di rabbia, ma poi si rende conto che tutto l’amore per la moglie, il motivo per cui si era innamorato di sua moglie era che lei era bella. Non altro. Era Miss Newjersey e lui era lo Svedese. Era quello che doveva essere.
Era quello che ci si aspettava da lui.
E sotto l’apparenza perfetta ci sono le ipocrisie, le meschinità, i non detti.
Perché in questa America così variegata, stratificata, in bilico, l’unico momento di concordia razziale, religiosa e politica è il giorno del Ringraziamento.
L’unica – falsa – “Pastorale Americana”.
Falsa.
Come lo Svedese.
Da leggere.
Assolutamente.
(PS il titolo è una citazione dell'omonima canzone di Venditti).
Indicazioni utili
La Bestia nella Jungla - H. James
L'età dell'Innocenza - E. Wharton