Dettagli Recensione
"Davvero speravo in qualcosa di meglio."
(SPOILER)
Dopo aver amato alla follia Stoner ed essermi appassionata ad Augustus (che somiglia non poco al suo lontano erede), son arrivata a questo "Butcher's" piena di aspettative.
Williams Writes Western.
Wow.
(Amo tantissimo il genere).
Ormai dovrei sapere che arrivare ad un libro piena di aspettative è un pessimo aperitivo, ma nel caso di Stoner le aspettative altissime erano state polverizzate da un libro veramente splendido e da una scrittura veramente di razza, su cui ho già abbondantemente tediato.
Bene, Stoner è stata l'eccezione che conferma la regola.
"Butcher's Crossing" ci narra le gesta (!) dell'apatico William Andrews, studente universitario di Boston che "perché sì" decide di trasferirsi nel West alla ricerca di sé stesso, con un piccolo gruzzolo da parte e poche idee, ma molto confuse.
Giunto in loco passa abbandonanti 100 pagine ad osservare la polvere che alzano i suoi stivali mentre cammina.
Poi fa la conoscenza con uno dei due personaggi che mi son dispiaciuti meno: McDonald, un vecchio commerciante di pelli.
Folgorato da Andrews, dopo neppure 10 secondi di frequentazione, gli offre un impiego nella sua attività. Ma Will non solo è confuso, è anche discretamente fornito di denaro (combinazione assolutamente devastante). Quindi rifiuta e chiede a McDonald di aiutarlo.
A fare cosa?
"Conoscere il paese."
Il povero McDonald, giusto per levarselo dai piedi, secondo me, gli dice di andare al saloon/bordello del paese e di chiedere di Miller "che se ne intende".
Troviamo Miller che si intrattiene con il compagno di bisbocce Charley Hoge (un bizzarro ubriacone, monco, fanatico della Bibbia. E di Miller) e una navigata damigella, tale Francine. Will rimane affascinato da Miller (e pure da Francine) che gli racconta come, molti anni prima, per puro caso, girellando nella prateria, avesse scovato una valle addirittura brulicante di bisonti. Miller asserisce con convinzione – non si sa sulla base di che cosa – che nessuno al mondo conosca quel posto e che lui sia in attesa di mettere da parte un piccolo capitale per finanziare una spedizione che gli procurerà tonnellate di pelli di bisonte e lo farà ricco.
Ovviamente a Will non sembra vero!
Miller si incarica di mettere insieme l'occorrente: un carro, buoi, cavalli, vettovaglie, coltelli, uno scuoiatore. Naturalmente il buon Charley sarà della partita e guiderà il carro.
"Ma non era monco?" dovrebbe dire Will, che invece annuisce, preso dalla bella Francine. Animato da insolita audacia, e smettendo per l'occasione di contemplare la polvere che alzano i suoi stivali, il nostro la segue nella sua stanza.
Ma al momento buono, anche lui, come Cenerentola…
"Dileguossi."
Miller, intanto, prepara la spedizione, reclutando l'altro personaggio di buon senso, Schneider, lo scuoiatore.
La parte centrale del libro, che secondo me è anche la migliore, narra il viaggio dei quattro verso la fantomatica valle di Miller. Qui Williams ci (e si) ricorda di essere una scrittore di razza. Alcune descrizioni di paesaggio sono veramente maestose e da brividi. Anche le sensazioni degli uomini e degli animali colpiscono per la loro vividezza. Quando Miller perde la strada e i nostri rischiano di morire di sete, tu ti senti la gola riarsa. Durante la lettura non ho potuto fare a meno di osservare che il mio personaggio preferito fosse "Prateria", poi affiancato da "Montagne", "Valle".
Non voglio spoilerare troppo, ma i nostri si perdono, poi si ritrovano e troveranno anche la Valle. E pure i bisonti. Per un susseguirsi di eventi che ricorda abbastanza da vicino i Malavoglia di verghiana memoria.
Come da epigrafe, "davvero speravo in qualcosa di meglio".
La cosa più irritante di questo libro è la mancanza di storia. Sì, c'è una vicenda con dei personaggi, ma non solo non ti immedesimi, ma neppure empatizzi.
Sì la scrittura è grandiosa, ma invece di migliorare la situazione ti lascia più frustrato.
Tutto sembra teso (e sacrificato) a questo famoso "messaggio" di cui poi non ci importa nulla, perché la storia che ce l'ha veicolato era troppo poca cosa per appassionarci a "cosa" volesse dire.
Qui la scrittura di Williams si fa irritante, perché sembra ripeterti "Sta attento, guarda, ti devo dire una cosa, fai attenzione che è importante, che è LA COSA… ho scritto tutte e 300 queste pagine solo per questo…"
[La cosa (osservo di passata) è che il mondo è brutto, ci crescono nelle bugie e appena ci accorgiamo delle bugie e capiamo che possiamo cambiare il mondo… ahimè siamo vecchi e tocca morire].
No, non va proprio.
Quest'opera (la seconda di Williams dopo "Nothing But the Night") precede "Stoner" di cinque anni, ma se vi è già una certa maturità stilistica (ribadisco, alcune parti descrittive sono di una bellezza disarmante), l'abilità di costruire la storia che sarà in Stoner e in Augustus è molto lontana.
Mi son domandata come mai Williams si sia cimentato con questo genere e abbia sacrificato la sua scrittura ad una storia così irrilevante.
Non mi son saputa rispondere.