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007 non si nasce: si diventa!
“Le faide familiari sono sono sempre state una ragione per uccidere migliore del patriottismo o della preferenza per l'uno o l'altro sistema economico. Se amo o se odio, permettete che ami o che odi da individuo.”
Può il Servizio segreto britannico mettere gli occhi su un grigio commerciante piantato dalla moglie, padre di una figlia diciassettenne di nome Milly (bellissima, molto cattolica ma poco incline a farsi ostacolare nella sua necessità di beni materiali), amico di un vecchio medico tedesco, il dottor Hasselbacker, che non disdegna di divertirsi bonariamente alle sue spalle? Può davvero farsene qualcosa di un suddito della Regina che sbarca il lunario nella Cuba prerivoluzionaria del dittatore Batista provando a vendere aspirapolveri (il suddito ovviamente, non la Regina)?
Si direbbe di no. Invece è proprio quell'anonima specializzazione a rendere appetibile l' “affiliazione” di Jim Wormold alla lista degli agenti segreti d'Inghilterra. Così come per lui non è questione di patriottismo o di adrenalina, ma dell'impellente necessità di mantenere quella figlia amata e pretenziosa.
Per Londra tutto ciò è indifferente: dal momento in cui Wormold viene assoldato da un certo agente Hawthorne durante una surreale conversazione in un bagno pubblico, egli diviene il “nostro agente all'Avana”.
Graham Greene gioca la carta dell'ironia per descrivere il mondo delle spie e delle cospirazioni internazionali; lo fa con successo, se è vero che l'espressione “il nostro agente all'Avana” è entrata nell'immaginario collettivo (tanto da essere citata spesso fuori dal suo reale contesto).
Jim Wormold, nel suo mirato grigiore, è un mostro di simpatia: il suo ritrovarsi agente segreto per necessità, la capacità di inventarsi un'inesistente rete di capaci subagenti, di legittimarla con dei rapporti tanto falsi da essere verosimili, il contrappasso consistente nel dover sopportare una struttura di supporto spionistico che gli si insedia in casa, lo rendono un personaggio accattivante per tutti gli appassionati di letteratura umoristica.
Unico neo del libro è che sembra procedere un po' “a sbalzi” nella parte centrale, dove la lettura si fa a tratti più faticosa.
Greene pare voler dire che in questo campo non è importante essere professionisti o dilettanti: le trame spionistiche sono molto complicate e spesso mosse da inevitabili equivoci, così che prima o poi ci si ritrova comunque oggetto di attenzioni. Di lì a divenire bersagli, il passo è breve. In fin dei conti, le vicissitudini di Jim Wormold rappresentano nient'altro che una lettura in chiave umoristica di vicende che John Le Carré – per fare uno dei nomi simbolo della letteratura spionistica – ha raccontato con ben altri presupposti.
Una piccola curiosità: nella quarta di copertina dell'edizione Mondadori si parla di una esilarante partita a scacchi come culmine del romanzo (lo si legge più sopra, nella presentazione del volume). In realtà si tratta di una sfida a dama (sebbene i due giocatori adottino una tattica molto sottile, provando a superarsi senza cadere nella trappola tesa dall'altro). Lo strafalcione è evidente: provate a confondere i due giochi alla presenza di un buon giocatore di scacchi...
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Commenti
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ti ho proprio letto con piacere.
Federica
Per Emilio: Graham Greene è forse un esempio di autore molto "frequentato" tempo fa. Il suo capolavoro è "Il nocciolo della questione": personalmente ho letto alcuni commenti su questo libro che mi hanno dissuaso dal leggerlo. Quello recensito, però, mi pare un buon esempio di humour britannico.
Per C.U.B.: io la quarta di copertina la abolirei...mi fa allergia la moda di mettere un aggettivo tipo "Strabiliante", "Meraviglioso" e il nome di un qualunque giornale (spesso americano, ma anche italiano a volte). Non ho capito a che serve.
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Bel commento.
Conosco poco l'autore e non ho letto questo libro molto noto. Evidentemente la qualità non eguaglia la fama.