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Oscar e la dama in rosa
 
Oscar e la dama in rosa 2015-08-02 14:33:31 Anna_Reads
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    02 Agosto, 2015
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Essere solo un "riparatore".

Premessa.
Giovedì, pranzo con colleghe, una decina di anni fa. Come da tradizione, ci siamo io, la neuropsichiatra infantile, la psicomotricista, la coordinatrice dell’ambulatorio.
Siamo meno “pimpanti” del solito perché abbiamo appena preso in carico un bambino da oncologia e sappiamo che, probabilmente, non sarà una presa in carico lunga.
Non è una novità, purtroppo, ma forse è più doloroso di altri casi, o forse è solo che è appena successo e non abbiamo ancora potuto metabolizzarlo, o forse solo “perché sì”, dal momento che mettersi a fare la classifica del dolore mi pare viepiù cretino.
Ad ogni modo, togliersi dalla testa certe facce, certe parole e certi sguardi in quel momento è difficile e il nostro pranzo scorre piuttosto silenzioso.
R. di punto in bianco dice “Questi sono i momenti in cui, se non avessi fede in dio, penso proprio che non potrei farcela.”
E io, senza nessun tono polemico, perché non ho voglia di fare polemiche e perché stimo moltissimo R. che è una delle persone migliori che conosco, e se mi sforzo un po’ comprendo pure il suo punto di vista, con lo stesso tono assorto osservo “Io invece penso che se mai avessi avuto fede l’avrei persa proprio in un momento come questo, e che se avessi la certezza che dio esiste gli augurerei solo di essere molto, ma molto lontano da me.”
(Sì, i momenti “Arturo Bandini” in cui maledico e minaccio dio esistono anche per me).
Siamo quattro e ci dividiamo in modo equanime sulle posizioni:
- dio esiste perché esiste l’oncologia (pediatrica).
- dio NON esiste perché esiste l’oncologia (pediatrica).

Senza acrimonia e senza discussioni accese. Non è qualcosa che si possa giudicare o di cui si possa convincere un altro. Non è qualcosa di cui si possa discutere. Il dolore dei bambini, nel suo nucleo centrale di profonda innaturalità, corrode gli adulti fino al loro, di nucleo.

La storia di “Oscar e la dama in rosa” mi riporta a quel giovedì, come ci riportano tante storie: ci racconta gli ultimi giorni di vita di un bambino malato di leucemia. Oscar sa quello che gli sta succedendo e quello che gli succederà. È arrabbiato. Con i suoi genitori, per cominciare. Che non hanno il coraggio di affrontare la cosa. E di affrontarla con lui.
È arrabbiato con gli sguardi sfuggenti, le mezze parole, gli occhi bassi.
Rosa, un’anziana signora che lavora nell’ospedale e che – per qualche motivo – riesce a creare un legame speciale con il bambino, gli propone un gioco: immaginare che ogni giorno, corrisponda a dieci anni della vita di Oscar e che lui, a fine giornata, descriva quel decennio.
Oscar immagina di vivere, sposarsi, lavorare, divertirsi, invecchiare, morire.
A centodieci anni.
E in qualche modo riesce a fare la pace con i genitori, i medici, i vivi e dio.

È un libricino di poche decine di pagine e che si legge in fretta. Descrive in modo piuttosto realistico una situazione dolorosa e difficile, trova qualche “cura” palliativa vaga (come non potrebbe esser diversamente) ed alla fine cerca di riconciliare con quello che conciliabile non è.
Se devo fare un appunto, trovo che “nonna Rosa”, a tratti, sia un po’ troppo perfetta. Sappia sempre troppo esattamente quello che deve dire e lo dica nel modo giusto.
Ma probabilmente è solo invidia.
Invece la parte che ho amato è la descrizione della malattia vista dai bambini.
Quello che per noi adulti è “innaturale” per molti di loro, purtroppo, non solo è “normale”, ma è la sola realtà che conoscono. È normale essere ammalati, è normale morire, è normale andare in triciclo con la flebo. Ecco, al di là di dio e delle soluzioni, questo mi è davvero piaciuto.
Prendo congedo con Oscar che spiega questa cosa al suo dottore:
«Non bisogna fare una faccia simile, dottor Düsseldorf. Ascolti, le parlerò francamente perché io sono sempre stato molto corretto sul piano medicina e lei è stato impeccabile sul piano malattia. La smetta con quell'espressione colpevole. Non è colpa sua se è costretto ad annunciare brutte notizie alle persone, malattie dai nomi latini e guarigioni impossibili. Deve rilassarsi, distendersi. Non è Dio Padre. Non è lei a comandare alla natura. Lei è solo un riparatore.
Deve rallentare, dottor Düsseldorf, diminuire la pressione e non darsi troppa importanza, altrimenti non potrà continuare a lungo con questo mestiere. Guardi già la faccia che ha.»

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