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La danza dell'invidia
Come si può, in nemmeno cento pagine, rivelare così tanto delle emozioni umane più sotterranee, della rivalità tra donne, dell’insicurezza che si tramuta in distruttività? La Némirovsky lo fa brillantemente ne “Il Ballo”.
Lo stile dell’Autrice, asciutto e impeccabile, appare davvero attuale nonostante il romanzo non sia poi così giovane; i dialoghi sono carichi di espressività, che emerge attraverso una colloquialità mai banale ma che, anzi, stride piacevolmente con le brame di elevazione sociale dei protagonisti, rivelandone immediatamente la prosaicità. Alla lettura si scatenano emozioni vivaci e talvolta sgradevoli, come accade quando ci si pone di fronte alle verità scomode.
L’invidia è il sentimento che fa da filo conduttore nel Romanzo, e determina pienamente i pochi – ma significativi – momenti di snodo che decideranno l’esito della vicenda.
La signora Kampf non può ammettere che la figlia Antoinette stia crescendo e diventando, a propria volta, una donna. Essa desidera troppo ardentemente di risarcirsi della mortificazione passata attraverso la ricchezza appena acquisita, e forse prova rabbia verso la figlia, vissuta invece come più “fortunata”. “Ah, credi di fare il tuo ‘debutto in società’ l’anno prossimo! Chi ti ha messo questi grilli per il capo? Sappi, mia cara, che io comincio soltanto adesso a vivere, capisci, io, e che non ho intenzione di avere tra i piedi una figlia da marito…”.
Antoinette, chiamata ostinatamente “bambina” nonostante i suoi quattordici anni, a propria volta non può comprendere il rancore, l’astio, il desiderio di rivalsa della madre; “mai Antoinette aveva visto negli occhi della madre quello sguardo freddo di donna, di nemica”. A quel punto, ogni donna che goda della propria indipendenza e femminilità diviene altrettanto ostile ad Antoinette; la governante inglese che incontra segretamente il suo amante diviene la goccia che fa traboccare il vaso: il dramma di non essere vista, di sentirsi esclusa da un mondo adulto di delizie che sembra non volerla accettare, scatena la distruttività di Antoinette che, in un parossismo di invidia, sembra decidere che tutte le altre donne debbano soffrire quanto lei: tutte, a partire dalla madre.
Intuiamo infine che Antoinette crescerà arida e priva di rimorsi proprio come la madre; la Némirovsky sembra voler suggerire il peso e l’ineluttabilità di certe “eredità affettive”, in cui il cerchio del rancore e del disconoscimento è destinato a perpetrarsi senza possibile soluzione.
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Commenti
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ti ringrazio. In effetti è vero: questo romanzo ha molto di teatrale e l'Autrice sembra avere il dono di "fotografare" espressioni ed emozioni che arrivano direttamente al lettore, come se li vedesse rappresentare davanti a sè.
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Intanto, benvenuta in questa comunità di lettori. Spero ti possa trovare bene.
La tua recensione mi è piaciuta molto, anche l'intuizione conclusiva : una certa freddezza emotiva della ragazza come spia di anaffettivita' : è difficile dare ciò che non si è ricevuto.
Pur non amando particolarmente la scrittrice, questo breve romanzo mi è piaciuto abbastanza. Proprio la sua mancanza di enfasi fa sì che abbia un tratto quasi adatto alla rappresentazione teatrale ( alcune scene, poi, sarebbero di sicuro effetto su un palcoscenico).