Dettagli Recensione
Se capite cosa voglio dire... e compagnia bella!
The Catcher in the Rye (Il Giovane Holden) – Jerome David Salinger, 1951
«Non pareva proprio che stesse per arrivare Natale. Pareva che non stesse per arrivare niente.»
Titolo.
Il “catcher” (ricevitore) è “il giocatore che nel suo turno difensivo occupa la sua posizione direttamente dietro casa base, dove riceve i lanci del lanciatore.”
(https://it.wikipedia.org/wiki/Ricevitore_%28baseball%29).
Rye è la segale.
“Il ricevitore nella segale” (che io, umilmente, facendo un parallelo fra baseball e calcio, tradurrei con “Il portiere nella segale”), è il verso – sbagliato – di una poesia di Robert Burns.
Ed è quello che il nostro protagonista, Holden Caulfield, vuole essere da grande.
Holden Caulfield, sedici anni, è stato espulso da scuola, per i suoi pessimi voti (sufficiente solo in inglese). Stanno per cominciare le vacanze di natale, ma lui decide di tornare a casa, a New York, prima.
E non ha nessuna voglia di affrontare i suoi genitori.
Ha qualche soldo in tasca (la sua famiglia è molto benestante) e vagabonda per la città; gli succedono una piccola serie di cose pazzesche. Decide confusamente di andarsene lontano, ma prima di farlo, vuole salutare la “vecchia Phoebe”, la sua saggia sorellina di dieci anni. Quindi, nottetempo, si intrufola in casa sua e va a svegliare la sorella.
Lei lo rampogna a dovere (“papà ti ammazza”) e poi spara una stoccata niente male:
«“Dimmi che cosa ti piacerebbe essere. Come uno scienziato. O un avvocato o qualche cosa.”»
Holden cincischia… scienziato no, avvocato no…
«“Stavo pensando a un’altra cosa - una cosa pazzesca. - Sai cosa mi piacerebbe fare? - dissi. - Sai cosa mi piacerebbe fare? Se potessi fare quell’accidente che mi gira, voglio dire.
- Cosa? Smettila di bestemmiare.
- Sai quella canzone che fa “Se scendi tra i campi di segale, e ti prende al volo qualcuno”? Io vorrei...
- Dice “Se scendi tra i campi di segale, e ti viene incontro qualcuno”, - disse la vecchia Phoebe. - È una poesia. Di Robert Burns.
- Lo so che è una poesia di Robert Burns.
Però aveva ragione lei. Dice proprio “ Se scendi tra i campi di segale, e ti viene incontro qualcuno”. Ma allora non lo sapevo.
- Credevo che dicesse “E ti prende al volo qualcuno”,- dissi. - Ad ogni modo, mi immagino sempre tutti questi ragazzini che fanno una partita in quell’immenso campo di segale eccetera eccetera. Migliaia di ragazzini, e intorno non c’è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull’orlo di un dirupo pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar fuori da qualche posto e acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l’acchiappatore nella segale e via dicendo. So che è una pazzia, ma è l’unica cosa che mi piacerebbe veramente fare. Lo so che è una pazzia.
La vecchia Phoebe non disse niente per molto tempo. Poi, quando finalmente si decise a dire qualcosa, tutto quello che disse fu:
- Papà ti ammazza.” »
Cosa vuoi fare da grande?
Il portiere nella segale.
Il verso sbagliato di una poesia.
Come dire.
-Cosa vuoi fare da grande?
-La vecchia che agli irti colli piovigginando sale.
-Guarda che veramente era la nebbia!
-Ops.
E questo era solo il titolo.
(Poi ci sarebbe la questione che “rye” può essere tradotto anche come “whiskey” "e compagnia bella", ma vabbe’).
Holden Caulfield è stata un’altra scoperta alla soglia dei quarant’anni (finalmente fra poco potrò dire “a quarant’anni suonati”) ed è finito direttamente nel ristrettissimo novero dei miei “libri-salvavita”, quelli di cui si va a leggere qualche pagina di tanto in tanto. Non sono “i libri più belli”, assolutamente no, ma sono quelli che – per qualche motivo – ti rimettono “in bolla”.
Libri-bussola.
O libri-bolla, appunto (bello che qualche volta ci siano new entry)
Visto che è ormai passato un mese dalla lettura, ho avuto modo di interrogarmi sul “perché” di questa new entry. La storia, come accennavo è piuttosto semplice.
Le disavventure di questo sedicenne. Non particolarmente epiche, né curiose.
Così come i personaggi. Holden è un sedicenne tenero, goffo e sbruffoncello che si fa volere un sacco di bene e a cui ogni tanto si allungherebbe volentieri una scapaccione, ma niente di più.
Ma per prima cosa c’è la scrittura di Salinger.
Così piena di ridondanze e di modi colloquiali. Colloquiali non nel senso di “sciatti”, ma proprio nel senso di “da colloquio”. Quella con Holden sembra una lunga chiacchierata che lui fa proprio con te. Non c’è nessuna apostrofe al lettore, solo qualche piccola “strizzata d’occhi”:
«Dio, peccato che non c’eravate anche voi.»
(Dici, Holden?).
Ma non solo.
Nella narrazione di Holden io leggo una disperata e (non solo) adolescenziale volontà di “mettere dei punti”, tracciare linee stabili, trovare riferimenti e verità. È palese che il nostro ne sia poco provvisto e li cerchi. Li declami, li strilli pure, qualche volta.
Forte per non far sentire che, insomma, non è che sia proprio così sicuro.
Salinger aveva trentadue anni quando il libro fu pubblicato. Non ha dipinto, secondo me, un giovane disadattato (come ho letto in qualche esegesi), ha raccontato qualcuno in un momento di indecisione, pena, cupezza.
Frustrazione, noia, ansia.
Un non-momento e una non-appartenenza.
Che è tipico dell’adolescenza.
Anche.
Per questo il libro (mi) rimette in bolla.
«Lo so che è morto! Credi che non lo sappia? Ma mi può ancora piacere, no? Non è mica che uno non ti piace più solo perché è morto, Dio santo, specie se è mille volte meglio della gente viva che conosci e compagnia bella.»
Indicazioni utili
Commenti
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |
Ordina
|
Poi fammi sapere.
A.
difficile dire qualcosa di nuovo ed intelligente su quest'opera ma ci sei riuscito.
ti consiglio "un giorno questo dolore ti sarà utile" di peter cameron
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |