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Le tre del pomeriggio
Dormire, svegliarsi, scrivere, osservare, bere, ascoltare musica, dormire.
Questa è la routine della vita di Antonio Roquentin, uomo che sarà presto invaso da una sensazione: la Nausea. Nausea che assale corpi che si muovono secondo automi dettati dalla quotidianità. Nausea che si appropria di animi sottrattisi al pensiero, la più pura essenza umana, in nome di un inconsapevole "divertissement" di pascaliana memoria.
La Nausea si manifesta nel momento in cui si assume profonda consapevolezza dell'elemento apparentemente più scontato con cui l'uomo crede di aver a che fare e perciò trascurato, ovvero l'esistenza. Prender consapevolezza dell'esistenza, infatti, implica un intimo contatto con la sconcertante assurdità dell'esistenza stessa, che sopraggiunge in modo per noi incontrollabile, segue regole insite nella sua natura cui dobbiamo inspiegabilmente sottostare, ma pretende di svolgersi secondo il nostro arbitrio limato da vincoli sociali contrastanti. Un motore ignoto determina lo scorrere del mondo in modo apparentemente casuale, il che è ben reso dal ritmo disarmonico della narrazione, che alterna capitoli brevissimi ad altri ben più estesi, giornate più lente a giornate che passano impercettibilmente senza lasciar segno, a riprodurre il ritmo vitale in cui tutti siamo coinvolti. Tutto sfugge al controllo, compresi sentimenti che dovrebbero unire e invece finiscono per dividere ulteriormente solitudini inspiegabili che si incontrano e flirtano per poi separarsi.
Di qui il senso di Nausea nel prendere coscienza del fatto che la vita non è un concetto astratto, ma una realtà concreta, immanente, che scorre nel nostro corpo e che pulsa nel mondo circostante. Una presenza così forte e in sé sconvolgente da risultare insopportabile a chi ha coscienza delle sue contraddizioni. In particolare, il contrasto tra la volontà di autodeterminarsi e la consapevolezza di non essere autodeterminato catapulta l'uomo in una spirale che termina nell'abisso. L'uomo consapevole vive in bilico tra l'assurdo e la sua negazione, tra la verità intuita e quella percepita (o meglio, che si vuol percepire), tra la propria natura e la negazione di sé in nome del "vivere felice". Conoscere la vita porta a disprezzarla, viverla porta ad apprezzarla. Meglio la verità o la felicità?
È l'abisso reso con la geniale immagine delle tre del pomeriggio, che rappresenta la condizione esistenziale cui si perviene inevitabilmente a causa della Nausea da conoscenza dell'assurdo: alle tre del pomeriggio è troppo presto o troppo tardi per fare qualsiasi cosa.
Commenti
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Ferruccio
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Io non serbo un bel ricordo di questo libro, il cui aspetto migliore penso sia l'uniformità della scrittura; la visione deprimente della realtà non mi convince affatto. Se ricordo bene, invece di approdare ad un'apertura degli orizzonti, c'è una chiusura ideologica ed esistenziale (forse quella ideologica fagocita l'esistenziale. O mi sbaglio? La mia lettura non è recente).