Dettagli Recensione
Ammiccante (e pure furbetto).
Leggere Lolita a Teheran – Azar Nafisi
E devo cominciare dicendo che son partita prevenuta (il libro è stato scelto per una lettura di gruppo. Io ne avevo votato un altro, per la cronaca)
Premessa.
Come sempre le mie "critiche" sono rivolte al libro. In nessun modo all'autore, alla sua moralità e - tanto meno - ai suoi lettori.
Questi romanzi che ti vogliono raccontare quanto è difficile la situazione in una determinata situazione storico-socio-politica mi mettono subito in allarme. Era stato così con Il Cacciatore di Aquiloni di Hosseini.
Vivere una situazione drammatica esige rispetto, attenzione e comprensione.
Sì.
Ma non è che ti fa diventare un narratore.
Non è che ti rende un romanziere.
Già qui il titolo mi aveva messo (ulteriormente) sul chi va là.
Leggere Lolita a Teheran.
Nel romanzo scopriamo che vengono letti diversi testi "occidentali".
Ma, come per caso, il titolo non è "Leggere Gatsby a Teheran" e neppure "Leggere Henry James a
Teheran". La scelta è casualmente caduta su Lolita, secondo me, per solleticare l'ego un po' malato e voyeur del lettore occidentale che così può fantasticare sulle conturbanti cose che succedono sotto i veli nel mentre che si legge Lolita (a Teheran).
Vabbe'.
La lettura mi è stata estremamente ostica. La prima parte (Lolita) noiosa. Le altre irritanti.
La voce narrante, una docente di Letteratura Straniera all'università di Teheran, ci narra – spaciugando poco amabilmente con i tempi – la vita in Iran dopo la rivoluzione islamica, ma anche prima e non in Iran, e durante e anche…
Nella prima parte facciamo la conoscenza di alcune "comprimarie" – le studentesse dell'autrice che continuano a leggere e a discutere di libri "proibiti" in segreto, a casa della loro Professoressa. In questa parte vengono accennati alcuni personaggi, poi facciamo rapide incursioni nel passato studentesco (negli Stati Uniti) della protagonista.
Noiosissima la parte americana, appena meglio quella ambientata nel salotto. Nomi appiccicati lì, qualche immagine ad effetto, storie adombrate.
Seconda parte.
Stacco.
Siamo "durante" la rivoluzione e questo dovrebbe essere il pretesto per narrarci quello che succede.
Invece no.
Abbiamo la trascrizione delle lezioni su Gatsby.
Non solo noiose. Irritanti proprio. Perché ogni tanto ti lascia capire che sta succedendo molto altro. Ma noi discutiamo di Gatsby.
E l'idea sarebbe anche buona. Descrivo un cambiamento politico attraverso la percezione della letteratura. Di certa letteratura.
Ma DEVI essere capace di farlo e/o volerlo fare.
E non è questo il caso.
Qui abbiamo pagine di sbobinature di lezioni (e solo a chi è toccato farle mi può capire) e pagine, se possibile, peggiori in cui la protagonista ci tedia con le sue menate.
Tipo: "Vorrei tornare ad insegnare, ma per farlo dovrei mettermi il velo. E avevo detto che non lo avrei mai fatto. Che penserà la gente? Diranno che sono una banderuola? Che sono un'opportunista egoista? O capiranno che io mi annoio e che poco è meglio che niente? Vado a parlarne con un amico…"
"Amico Mio? Mi assolvi? Posso considerarmi brava anche se mi metto il velo?"
Nel frattempo l'Iran è in guerra con l'Iraq (una guerra che durerà a lungo).
Ci sono i bombardamenti. Ci sono oppositori in galera. Tortutati, uccisi. Ma noi stiamo a pensare al velo della protagonista.
E attenzione.
So che a molti sta venendo in mente Italo Svevo con la sua colazione mentre scoppia la guerra.
No.
La Nafisi è lontana anni luce da Italo Svevo. Lontana da qualunque cosa scritta bene. Con questo materiale poteva tirar fuori un documentario guardabile/leggibile, non di più.
Ci trasciniamo stancamente, fino alla parte su Henry James. Dove, finalmente, ho sottolineato qualche frase e addirittura qualche brano.
Sono i punti in cui vengono riportate parti delle lettere di Henry James.
E ciò è molto sintomatico.
Henry James, che è il distacco fatto uomo, sulle atrocità della guerra tira fuori la rabbia, e dalle sue lettere escono storie, sentimenti, suggestioni, in poche righe.
Noi invece, a Teheran, apprendiamo, en passant, che qualche studentessa è morta e di atrocità varie, ma così, per dovere di cronaca.
Ci tengo molto a dire che non sto dando un giudizio morale sull'autrice, dicendo che non le importi di quello che succede nel paese e ai suoi studenti. Per prima cosa non penso che sia così e secondariamente non mi interesserebbe.
È una critica esclusivamente narrativa.
Io in questa narrazione vedo un "scrivi un po' come ti viene, tanto con la storia straziante delle donne con il velo e Lolita, il libro si vende."
E infatti si è venduto. Credo anche che sia uno di quei libri di cui si deve parlar bene, perché sono una "testimonianza".
Però, secondo me, per testimoniare si va a un processo, per mandare un messaggio si fa un telegramma e per documentare si fa un documentario. Se fai un romanzo io VOGLIO un romanzo.
E questo guazzabuglio furbetto, secondo me, non lo è.
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Commenti
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Niente mi è più lontano delle distinzioni fra "forma" e "contenuto", se non - forse - attribuire valore alla narrativa a seconda o meno dell' "impegno".
Se leggo narrativa voglio "belle storie" e - secondo me - non esistono belle storie scritte male.
Se è scritta male, non è una bella storia.
A presto!
Ma in caso attendo il tuo parere "post".
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