Dettagli Recensione
Bandini,protagonista di magnifiche uscite di scena
Chiedi alla Polvere (Ask the Dust) – John Fante, 1939
SPOILER
«Ho qualcosa da dirvi sul mio libro. Non sconvolgerà il mondo, non ammazzerà nessuno, non sparerà nemmeno un colpo, ma ve lo ricorderete finché avrete vita e anche quando esalerete l’ultimo respiro, sorriderete ripensandoci.»
Ero un po’ spaventata all’idea di affrontare questo romanzo, pietra miliare della letteratura, amatissimo.
Non temevo la delusione in agguato, perché avendo già assaggiato Bandini (Aspetta la Primavera, Bandini e La Strada per Los Angeles) sapevo che mai avrebbe potuto deludermi.
Quello che temevo era il plot che – confesso – avevo mio malgrado un po’ conosciuto (complice pure Alessandro Baricco a Pickwick nel 1993).
È molto difficile che mi appassioni alle “storie d’amore” e ancor di più che empatizzi con i personaggi femminili. Quel poco che sapevo di questi due elementi, in “Chiedi alla Polvere” mi disturbava già. La cattiva notizia è che la protagonista (?) femminile, Camilla Lopez, è anche più insopportabile di quello che si potrebbe pensare.
La buona è che non ce ne importa niente, che la fanciulla in questione è praticamente un pretesto e che il riflettore – come era prevedibile – è sempre saldamente su Arturo nostro.
Per fortuna.
Ask the Dust (geniale, a partire dal titolo), ci porta a Los Angeles, sempre alle costole di Arturo, che arranca nella sua vita, in una piccola stanza d’albergo, con vicini improbabili, sempre in lotta con la sua macchina da scrivere.
E vince lei.
«Giorni di magra, carichi di determinazione, perché proprio di questo si trattava, determinazione: Arturo Bandini, seduto davanti alla sua macchina da scrivere per due giorni consecutivi, deciso a farcela. Ma non funzionò. Fu l’attacco di testardaggine più lungo e violento di tutta la sua vita, ma non ne uscì neanche un rigo, solo due parole ripetute per tutta la pagina, su e giù, sempre le stesse: la palma, la palma, la palma, una lotta all’ultimo sangue tra me e la palma, e la palma vinse: eccola là che ondeggia nell’aria azzurrina, che scricchiola piano nell’aria azzurra. Vinse dopo due giorni di lotta e io scavalcai il davanzale e mi sedetti ai suoi piedi.»
Sempre volubile, spaccone e un po’ cazzaro, ma con momenti di grande tenerezza, il nostro titano ha pubblicato un raccontino che gli ha fruttato qualche soldino.
Che ovviamente sperpera.
Chiede soldi a casa (Svevo è nel frattempo “risorto”), arranca, pubblica un altro racconto, largheggia nelle spese e – ahilui – conosce Camilla, barista di origini messicane, che si diverte a fare un po’ di tira e molla con lui, pur essendo innamorata del collega Sammy, che – da copione – la tratta malissimo e non la sopporta (non si riesce a biasimarlo).
Camilla non mente ad Arturo, ma ne sfrutta costantemente la generosità [a partire dalla richiesta di leggere il manoscritto di Sammy – aspirante (pessimo) scrittore – a quella di accompagnarla da lui, a chiedergli soldi per comprarsi droga e via discorrendo] e lui la lascia fare, sia quando le regala gli ultimi soldi che ha guadagnato con il racconto, sia quando accetta di correggere il manoscritto di Sammy, sia quando cerca di salvarla da sé stessa.
Ma in realtà Arturo ama il suo amore e l’idea che di esso si è fatto (come Cyrano, mi vien da pensare), il suo amore che non Camilla e che non è Vera. È il suo amore, appunto.
«Per tutta la notte abbiamo bevuto e pianto, e da sbronzo sono riuscito a dirti quello che mi si agitava nel cuore, tutte le parole dolci e le similitudini ingegnose, tanto eri troppo intenta a soffrire per quell’altro per sentire quello che ti dicevo, ma lo sentivo io, e Arturo Bandini era particolarmente in forma quella sera, perché si rivolgeva al suo grande amore, al suo vero grande amore, che non eravate né tu né Vera Rivken. Era semplicemente il suo grande amore.»
In realtà il grande amore di Arturo era e rimane la scrittura. Questa passione che non lo molla, che sostanzia ogni momento della sua esistenza, anche quello più drammatico.
«Dovevo riuscire a tutti i costi a tenere la testa fuori dall’acqua, ma mi sentivo risucchiare sotto dalle onde che si ritraevano. E così questa era la fine, la fine di Camilla e di Arturo Bandini; eppure, anche in quel momento, era come se stessi scrivendo, come se stessi registrando tutto sulla carta. Davanti agli occhi avevo il foglio dattiloscritto, mentre fluttuavo, sbattuto dalle onde, senza riuscire a raggiungere la costa, sicuro che non ne sarei uscito vivo.»
…e non è una metafora. Sta affogando davvero!
In tutto questo, Arturo conosce Vera, una donna di mezza età, molto bella, ma abbandonata dal marito a causa di alcune ustioni che ne hanno deturpato il corpo. Arturo la conosce e decide di raggiungerla e di fare l’amore con lei. Immediatamente dopo un terremoto devasta la città.
Traumatizzato dall’evento a cui assiste, Arturo maledice dio, l’amore e le donne e come sempre torna alla scrittura e decide di scrivere la storia di Vera. Non più racconti, ma un romanzo.
« Il telegramma diceva: romanzo accettato. Invio contratto oggi stesso. Firmato: Hackmuth. Tutto qui. Il foglietto mi sfuggì di mano, ma io non mi chinai a raccoglierlo. Poi mi sedetti per terra e cominciai a baciarlo. Strisciai sotto il letto e rimasi lì sdraiato. Non avevo più bisogno del sole, né della terra o del cielo. A questo punto potevo anche morire. Non mi sarebbe successo mai più niente. La mia vita era giunta al compimento.»
Un po’ come accade a Stoner, è il libro che sostanzia la vita di Arturo Bandini.
E forse anche di John Fante.
Poi il nostro vivrà un certo numero di ulteriori avventure, ma nel prologo (che la mia edizione Einaudi, per motivi imperscrutabili, mette in fondo) torna il tenero e titanico Arturo, velato di malinconia, soprattutto pensando al destino di John Fante.
«Parlo come un pazzo? E sia, ridatemi la pazzia e quei giorni, datemi un romanzo bizzarro su un uomo e sulla sua compassione per il genere umano, su quella gran persona che era Bandini, protagonista di magnifiche uscite di scena, e sulla sua compassione per tutto quanto, per l’assurda città attorno a me, che ha allevato il mio genio, e lassù in cima ad Angel’s Flight, in cima a duecento gradini fino a Bunker Hill nel cuore della città, gradini consacrati, Signore, Bandini li ha percorsi fino all’immortalità!»
Infine.
Questo è in assoluto uno dei romanzi che ho più amato. Quest’anno e in generale.
Fante finisce dritto dritto nei miei personali Campi Elisi, con Steinbeck, Marquez, Salinger, Flaubert, Leopardi e qualche altro.
Di seguito ho letto anche “Sogni di Bunker Hill”, ma ora prenderò una lunga pausa.
Mi capita con pochissimi autori, quelli che amo davvero.
Non leggo tutto quello che hanno scritto.
Perché è triste pensare, “poi”, di doverne rimanere per sempre senza.
Indicazioni utili
(E pure Rostand)
Commenti
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Ordina
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è devastante arrivare all'ultima opera e sapere di non avere più nulla da leggere perchè quella penna non scrive più....
In particolare Steinbeck e Fante (e Flaubert) sono centellinati al massimo...
Gian Piero
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