Dettagli Recensione
Il Gigante Invisibile.
Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo – Ken Kesey, 1962
SPOILER (abbastanza lieve)
La scienza ci insegna che non c'è situazione patologica, a livello mentale, che non sia suscettibile di un miglioramento, pur minimo. Kesey, invece, ci riporta l'eterna lezione di Terenzio:
"Homo sum, humani nihil a me alienum puto." (Sono un uomo. Niente di umano mi è estraneo).
Documentandomi un po' per scrivere questa recensione, ho scoperto che probabilmente siamo rimasti in due, nell'emisfero occidentale a non aver visto "Qualcuno volò sul nido del cuculo". Io e l'autore del libro, Ken Kesey.
Il tutto era per dire che leggo McMurphy e non vedo la faccia di Jack Nicholson.
E forse è stato un bene.
(Nel frattempo ho provveduto. Il film è molto bello e Nicholson è perfetto, ma rispetto al libro perde a peculiarità del punto di vista del narratore, che, a mio avviso, è la genialità del libro).
Il romanzo è ambientato in un ospedale psichiatrico, vi sono pazienti "acuti" e "cronici", e un nuovo arrivo, Patrick McMurphy, che – forse – non è pazzo davvero, ma finge di esserlo per scontare una condanna più lieve. Nell'ospedale ci sono medici, infermiere ed inservienti, ma impera e domina la capoinfermiera Ratched.
L'esperienza quotidiana ci fa spesso incocciare in anonimi "cattivi" (sempre la solita "banalità del male" della Harendt).
Il "tipo" miss Ratched credo che sia uno dei più comuni e pervicaci.
"Ha la faccia sorridente, compassionevole, paziente e al contempo disgustata… un'espressione dovuta al tirocinio." È sorprendentemente vero.
La prima cosa che ti dicono, al tirocinio, è: non guardare in faccia le persone, altrimenti poi ti chiedono cose.
Poi sta a te decidere se dare retta o meno.
Senza grande sforzo mi vengono in mente una dozzina di miss Ratched.
Probabilmente c'è un qualche involontario (?) meccanismo sociale che addestra e sforna a ciclo continuo questi "cattivi". Con poche qualità, scarsa intelligenza, nessuna fantasia, nessuna eccellenza, e un potere piccolo piccolo (bidelli, uscieri, impiegati delle poste, dell'anagrafe, segretari…)
Avrei anche qualche remora linguistica a definirli "cattivi".
Perché i cattivi dovrebbero essere Moriarty, il Cardinale Richelieu, Mordred e Morgana, Jocker, Lecter, Loki, Lucifero, insomma… personaggi intelligenti, scaltri ed astuti. I cattivi tipo la Ratched, secondo me, stanno meglio nella categoria "idioti"; che è immensamente più pericolosa di quella dei cattivi.
Sono imprevedibili perché non hanno una logica.
Per dirne una.
Sono tanti, per dirne un'altra.
Anyway.
Di Miss Ratched ci cale assai poco, perché altrimenti questo sarebbe un banale librotto già visto e già letto in cui ci sono un gruppo di infelici, vessati da un idiota sadico, che ottiene infine la "libertà".
Invece non è così. Il paragone più calzante è forse con "L'Attimo Fuggente" di Peter Weir, dove abbiamo un potere ottuso (rettore/Ratched), un elemento esterno che rompe l'equilibrio (Keating/McMurphy), l'elemento più fragile (Neil/Billy,Cheswick) che si suicida, quello più forte che riesce in qualche modo a trovare la forza di cambiare (Nuanda/Harding) e quello apparentemente più debole e da cui meno te lo aspetti (Tod/ Grande Capo Bromden) che davvero recepisce l'insegnamento e "svolta".
Già visto?
No, perché qui siamo in un manicomio e la voce narrante della storia non è l'elemento esterno, ma una voce interna, piccola e a lungo completamente muta, quella di "Grande Capo" Bromden.
Il protagonista che emerge non è McMurphy, ma Bromden.
Nativo americano, forte e colossale, è una creatura mite e spaventata; da anni in manicomio, si finge sordo e muto, e viene ribattezzato "ramazza" per l'abitudine degli inservienti a dargli una scopa in mano e lasciare che lui svolga il loro lavoro.
Un po' per caso e un po' per desiderio sto incontrando molti tentativi di narrazione attraverso personaggi con malattia o ritardo mentale o che in qualche modo e per cause diverse vivono una percezione alterata della realtà (viene anche citato, in qualche modo il Ben di Faulkner, proprio attraverso miss Ratched "la nostra cara capoinfermiera è una delle poche che hanno il coraggio di difendere la grande e antica tradizione faulkneriana nella terapia dei rifiuti dell'equilibrio mentale: la Bruciatura del Cervello").
Il tema è complesso e rendere in prosa un malato di mente è una sfida che si può approcciare da molteplici punti di vista e con innumerevoli stili.
Dove Faulkner spezzava e ripeteva, Kesey sceglie di unire e di dare un filo continuo alla narrazione del suo personaggio. Di dargli uno stile articolato e fluente. Logico e preciso.
Senza mai fornire, però, il punto di vista "reale" ed oggettivo.
Siamo noi "lettore" a dover capire che cosa sia realtà e cosa allucinazione; cosa mania e cosa concretezza. Se la nebbia che Bromden vede nei corridoi e i pavimenti che si inclinano siano incubo, delirio o realtà, se ci siano davvero cavi nei muri, microfoni sotto la pelle e similia.
La narrazione di Bromden ci porta avanti ed indietro fra reale ed immaginario e fra presente e passato, attraverso le tappe della sua vita che lo hanno portato da una riserva indiana al manicomio.
Emblematico l'episodio in cui "i bianchi" si comportano come se lui, bambino, non esistesse, non parlasse, non fosse lì davanti a loro. Analogamente viene privato anche del suo nome, che non viene quasi mai usato dal personale dell'ospedale, sostituito da "Ramazza".
E privare qualcuno del suo nome non è certo una tecnica di annientamento originale.
Fin da giovane, il nostro protagonista capisce che l'unico modo per salvarsi è diventare invisibile. E scopre presto che essere invisibile, nonostante le sue dimensioni, gli riesce facile.
Finisce all'ospedale psichiatrico, luogo perfetto per l'invisibilità, e finge di essere sordo e muto e viene lasciato in pace.
Per anni.
L'invisibilità è comoda sia per chi sparisce, che per chi non vede.
L'arrivo di McMurphy turba questo equilibrio, perché, di fatto, costringe Bromden, ad uscire dal suo isolamento e dalla sua invisibilità.
E gli altri a "vederlo".
Le riflessioni del nostro narratore, a questo punto, sono molto lucide. Teme che schierandosi dalla parte di McMurphy, gli altri (e la "Cricca") capiranno che in realtà sente e può parlare, nonostante questo decide di farlo.
Decide di farlo (e secondo me è la parte più importante e toccante del libro) perché McMurphy, che non è un eroe, non è un santo e neppure un filantropo, gli restituisce (non so quanto volontariamente) una parvenza di umanità. E soprattutto, gli fa vedere che può esistere qualcosa di più e di meglio che essere invisibile.
La chiave è qui.
Non è McMurphy, non è Miss Ratched.
Bromden si delinea a poco a poco, emergendo dalla nebbia e dal silenzio.
Alza una mano.
Si alza, di notte, per andare a guardare un cane, fuori dalla finestra.
Risponde a McMurphy.
Parla.
E per ricambiare un suo provvidenziale voto, McMurphy gli regala qualcosa di inestimabile:
" Notai vagamente che stavo cominciando a intravedere qualcosa di piacevole nella vita intorno a me. McMurphy mi aveva fatto da maestro."
Una giornata di all'aperto, in barca. Tornare "a casa" stanchi.
E poi, ancora di più, quasi alla fine.
"Mentre seguivo gli altri, mi accadde di pensare, con una sorta di improvviso stupore, che ero ubriaco, effettivamente ubriaco, ubriaco al punto da esultare, da sorridere e barcollare per la prima volta da quando avevo fatto il soldato, ubriaco insieme a una mezza dozzina d'altri amici e a un paio di ragazze - proprio nella corsia della Grande Infermiera! Bevuto, correvo e ridevo e facevo baldoria con donne al centro della più potente fortezza della Cricca! Ripensai a quella notte, a quello che avevamo fatto, e mi fu quasi impossibile crederlo. Dovetti seguitare a rammentare a me stesso che era accaduto davvero, che lo avevamo fatto accadere. Avevamo appena aperto una finestra e fatto entrare le ragazze come si fa entrare aria pura. Forse, tutto sommato, la Cricca non era poi onnipotente. Che cosa avrebbe potuto impedirci di ricominciare daccapo, dopo aver constatato che era possibile? O impedirci di fare altre cose che avessimo voluto? Mi sentii così felice, pensando a questo, che lanciai un urlo, mi precipitai su McMurphy e la ragazza Sandy, i quali mi stavano precedendo, li sollevai entrambi di peso, uno in ciascun braccio, e corsi fino alla sala comune con loro due che strillavano e scalciavano come bimbetti. Fino a questo punto ero felice."
Il punto più commovente è che Bromden, qui, non parla più di "acuti" o "cronici" come ha fatto fino a quel momento. Non parla di pazienti, parla di "amici". Amici con cui a realizzato delle cose.
Belle.
Più belle che essere invisibile.
Certo potremmo dire che non è normale, prendere sottobraccio un uomo e una donna e portarli in giro sgambettanti come bambini. Però forse essere uscito dalla nebbia ed essere tornato visibile costringe ad azioni un tantino "anormali". Riappropriatosi dei propri contorni, della propria umanità e di un linguaggio in cui trovano posto la lealtà, l'amicizia e la libertà, Bromden si avvia ad un finale molto potente in cui dovrà dare l'addio al suo "maestro" nel modo più drammatico e si conquisterà la libertà vera nel modo più eroico, superando lo stesso maestro.
Da leggere.
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Credo che a temere più gli idioti che i cattivi siamo in buona compagnia... mi ricordo anche un punto delle memorie di Monaldo Leopardi (!) in cui si ribadiva questo assunto :)
Miss Ratched abbraccia sfumature diverse (o che io ho colto come tali) fra libro e film: nel film, secondo me, rimane in fondo il dubbio che sia mossa da un'ottusa convinzione di "agire per il meglio" o almeno per il bene dei suoi pazienti. Vede McMurphy come un disturbatore delle quiete, quiete che porta un certo "benessere" ai suoi protetti (o almeno così sembra pensare).
Nel libro, invece, io ho letto più la volontà di mantenere salda la sua piccola roccaforte di potere e comando (questo è il mio reparto e si fa come dico io) che viene attacca e, peggio, irrisa da McMurphy (in alcune occasioni anche con l'appoggio del Dottore).
Son sfumature, naturalmente.
Su Attimo Fuggente e Nido credo che sia vero - come osservi - che nel primo caso si cerchi di "formare" gli individui e nel secondo di annientarli. Però la "formazione" si basa proprio sull'eliminazione delle differenze (ricordi il "grafico" per misurare il "valore" delle poesie?), sul soffocamento dell'individualitàe sull'omologazione. L'obiettivo potrebbe essere quello di formare "clonI" che abbiano perso l'abitudine di differenziarsi, porsi domande, valutare il sistema e sé stessi
(il che ci riporta alla nostra Miss Ratched).
Forse la differenza è che nel primo caso i soggetti son considerati "utili"e nel secondo no.
Però trovo sorprendentemente simili le procedure messe in atto (anche nei piccoli dettagli: le divise, i nomi...).
Infine, non è che non abbia "voluto" vedere il film fino a poco fa (credo diversamente da Kesey). Semplicemente non è capitato e non me ne sentivo particolarmente attratta (a torto, obviously). Poi nel mio piccolo gruppo di lettura, abbia avuto un tema del mese "grandi libri/grandi film" ed abbiamo letto Il Nido, L'Esorcista, Arancia Meccanica, E Johnny prese il Fucile e ho colmato le lacune (mi manca ancora Johnny). È sicuramente vero che, quando si incontrano storie tanto "potenti" la forma narrativa che incontriamo ci fornisce una sorta di "imprinting", però non è stato spiacevole avere, ad esempio, la lettura di Burgess e quella di Kubric. Qui la narrazione di Brumden è - secondo me - geniale, ma si può dire lo stesso di quella di Forman e Nicholson.
A presto!
Una sola precisazione, giacchè il discorso mi piace particolarmente. Mi riferisco alla differenza tra gli studenti di Weir è i pazzi di Forman. Dove, fino alla prima guerra mondiale, l'altro andava annientato, oggi va "colonizzato", come tu dici: l'altro non è inutile sin dall'inizio ma lo diventa ad un certo punto, quando è chiaro che non lo si riesce a domare.
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I tuoi commenti "ciclopici" meritano un'approfondita risposta.
Anzitutto, parlando di Miss Ratched e della differenza tra i grandi cattivi e gli idioti, non immaginerai di aver espresso un concetto che, a suo tempo, fu ben delineato dal grande attore teatrale Eduardo De Filippo. Il concetto era pressappoco: "Temo molto più i cretini che i cattivi, perchè questi ultimi ogni tanto si riposano".
Premesso questo non metterei Miss Ratched tra gli idioti, perchè ella è dipinta come una persona rigida e al servizio del "potere", un potere impersonale e istituzionalizzato, ma comunque un potere (d'altronde in un punto della recensione lo dici). La sua algida freddezza, la sua inarrestabile intenzione di seguire un "programma" la allontanano sia dalla pura cattiveria che dall'idiozia e la relegano in tratti evidenti di inumanità. Proprio una banale emissaria del male.
Nel film il personaggio dell'indiano Ramazza è una sorta di coprotagonista - e il finale lo rende "immortale" - ma è vero che la bravura e la duttilità di Jack Nicholson ne fanno il protagonista assoluto (d'altronde, con questa interpretazione, acquistò una fama enorme e la condanna di essere spesso invitato a recitare la pazzia o l'istrionismo).
Attraverso la figura di Randle Mc Murphy - e del complesso degli altri ricoverati - Milos Forman costruisce uno splendido apologo della libertà umana (si può essere liberi persino in un manicomio degli anni '70).
A questo punto avrai capito che non ho letto Kesey e non intendo leggerlo, proprio come tu non volevi vedere il film: sono convinto che non mi piacerebbe come il film; quando parliamo, come in questo caso, di idee gigantesche e capolavori assoluti (il libro nel tuo caso, il film nel mio) la prima "visione" della storia si cristallizza talmente in noi da non poter ammettere che ne esista una seconda versione.
Restando ai film, sono abbastanza d'accordo con il parallelo col film di Peter Weir ma ci vedo anche una differenza importante: nonostante gli evidenti punti di contatto da te individuati e il fatto che in entrambe le pellicole vi sia "violenza morale" (quando non anche fisica), "L'attimo fuggente" è un film sulla "conformazione" dell'uomo, mentre "Qualcuno volò sul nido del cuculo" è sul suo annientamento. La differenza è sottilissima e riguarda, a mio parere, l'esercizio di un potere.
Ho apprezzato molto il tuo commento e, se vuoi, possiamo continuare in questa discussione... Ma non te lo consiglio :). (Posso diventare più ciclopico di te sull'argomento)