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A sangue freddo
 
A sangue freddo 2015-06-17 21:02:48 Anna_Reads
Voto medio 
 
3.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    17 Giugno, 2015
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... E io dov'ero?

A Sangue Freddo - Truman Capote

SPOILER

Premessa.
Nella mia mente Capote era l'autore di "Colazione da Tiffany". Non amando particolarmente il "tipo" Ollie (conosciuto dall'omonimo film), il libro non è in cima alle mie pile di libri, neanche in questo 2015 dedicato alla letteratura americana.
Se non che...
Per puro caso, sento parlare di "A sangue freddo" da un’amica illuminata. Senza neppure sapere bene perché e sapendo poco o nulla del libro, gli faccio scalare le pile e comincio a leggerlo.
Sì, poi son venuta a sapere che è la più celebre opera di Capote, pilastro della letteratura americana etc etc, ma per qualche motivo a me l'informazione non era arrivata.
E più leggo, meno mi capacito di non aver MAI sentito parlare di questo libro.

È vero che Capote è probabilmente l'autore del primo "Romanzo/Verità" (qualsiasi cosa ciò voglia dire) di cui abbiamo notizia. Che la vicenda al centro della trama sia una crudele storia vera e che l'autore abbia personalmente conosciuto i protagonisti e si sia direttamente documentato su di loro, tanto da rimanerne profondamente scosso. Però…davvero.
Prendo atto di questa "damnatio memoriae" che – nella mia mente – ha subito Capote, ma non me la spiego. Come per "I vicerè" di De Roberto, metterò in atto una campagna di espiazione, affinché tutti perché leggano questo libro.
- fine premessa.

Holcomb, Kansas, 15 novembre 1959.
La famiglia Clutter, padre, madre e due figli adolescenti (Nancy e Kenyon) viene trovata massacrata una domenica mattina. Tutti sono stati legati ed imbavagliati (tranne la sedicenne Nancy, legata, ma non imbavagliata) e tutti sono morti per un colpo di carabina alla testa.
Dalla casa mancano pochi, insignificanti oggetti (una radio, qualche spicciolo, un binocolo).
La famiglia era benestante e benvoluta da tutta la piccola comunità di Holcomb.
Comprensibilmente si diffonde il panico, la polizia indaga con scarso successo, finché un detenuto ricorda vagamente di aver parlato della generosità (e della ricchezza) del signor Clutter ad un suo compagno di cella, uscito da poco di prigione.
La polizia arresta due uomini, Perry Smith e Dick Hickock. Processo, carcere ed infine condanna a morte per impiccagione dei due .
Un tragico fatto di cronaca.

Truman Capote, reduce dal successo di Colazione da Tiffany, si interessa alla vicenda, a partire da un piccolo trafiletto che legge per caso sul giornale, si reca sul posto e comincia ad indagare. Parla con i poliziotti, con i membri della piccola comunità di Holcomb, assiste all'arresto dei due imputati, al processo, li incontra durante la prigionia e, dopo l'esecuzione, termina il suo racconto.
Un romanziere accorto che si documenta.

Dimentichiamo tutto questo.
Perché quello che viene fuori da "A sangue freddo" è molto più di questo.
È molto diverso da questo.
Capote scrive la vicenda alternando la vita di Holcomb (della famiglia Clutter prima, della comunità e della polizia poi) e quella dei due assassini (preparazione del delitto, esecuzione, fuga, cattura, processo, detenzione, memoriali, esecuzione).
Apparentemente mantiene un tono di distacco e racconta i fatti in modo molto oggettivo e quasi distante. Il "sangue freddo" sembrerebbe quasi quello dell'autore più che quello degli assassini.
Ma non è così. Senza forzare MAI i toni, senza cercare mai l'effetto o la lacrima facile, Capote ti porta in mezzo alla scena, ai pensieri dei protagonisti.
Di tutti i protagonisti. Delle vittime, degli assassini, degli amici, dei poliziotti.
E il viaggio peggiore, all'inferno, e senza ritorno, lo fai proprio nelle vite e nei pensieri degli assassini. Di Perry in particolare che per tutta la narrazione è quello con cui "rischi" di empatizzare di più. Perché è quello con la famiglia disgregata, l'infanzia negata, quello che in più di un'occasione frena Dick che pare decisamente più sadico, repellente e bestiale. Perry che sogna ad occhi aperti di diventare un cantante di successo, di scoprire tesori sommersi, che si inventa di aver assassinato un uomo, solo per avere la considerazione di Dick che gli sembra un tipo così "tosto", forte, virile.

E poi scopriamo che è stato Perry, a sparare, tutte e quattro le volte.
È stato Perry a sgozzare il signor Clutter. Non prima di aver cercato di farlo stare un poco più comodo sul pavimento di cemento della cantina.
Ad impedire a Dick di violentare Nancy. Prima di ucciderla lui stesso.
A mettere un cuscino sotto la testa di Kenyon perché non stesse scomodo. Prima di sparargli.
Per un assurda "sfida" con Dick, forse. Ma non importa. Perché sì, alla fine.
Allo stesso modo apprendiamo di come Perry, fino all'ultimo, abbia sperato in un qualche riavvicinamento da parte del padre, pur essendo sempre in collera con lui.
Di come si sia augurato che ci fosse sua sorella (a suo avviso rea di "tradimento" nei suoi confronti) nella casa dei Clutter, per poterla uccidere.
Di come abbia addomesticato uno scoiattolo nei mesi di prigionia a Holcomb, durante il processo.
E alla fine ci sentiamo un po' come la signora Meier che sa che è giusto che Perry Smith venga punito per le atrocità commesse, ma che non può fare a meno di sentirne la mancanza.

Si osservano strane "solidarietà" ed amicizie, in questo romanzo.
Di nuovo fra la signora Meier (la moglie dello sceriffo) e la madre di Dick. Fra compagni di carcere e vecchi commilitoni.
Sembra anche – pare – fra Truman Capote e Perry Smith.
Sembra che ciascuno vedesse nell'altro ciò che sarebbe stato di sé, in circostanze solo leggermente diverse. Un assassino ed uno scrittore di successo.

Per la sua – già citata – durezza, questo romanzo mi ha fatto venire in mente "Meridiano di sangue" di Cormac McCarthy. Però la somiglianza è solo apparente. McCarthy sta bene attento e non si mostra mai. Si sorveglia costantemente. E tiene il guinzaglio corto anche al lettore.
In "Meridiano" non si empatizza mai, con nessuno.
Capote, invece, non è mai avaro di sentimenti e di verità. Li esprime invece costantemente, senza pudore e senza compiacimento. Si empatizza con tutti. Si è quasi "costretti" a farlo. Compostamente e senza ostentare buoni sentimenti.
Il ché non vuol dire che siamo tutti fratelli e che c'è speranza per l'umanità. Tutt'altro.
Esattamente il contrario.
Vite promettenti stroncate senza motivo, vite fregate in partenza, vite menate avanti senza costrutto, vite infelici senza ragione e vite che avrebbe avuto mille ragioni per essere felici. E non lo sono state.
Assassini e scrittori.

Uniti in una chiusa esemplare, mi piace pensare dettata da Perry e scritta da Truman:
«Be', cosa c'è da dire sulla condanna a morte? Io non sono contrario. Si tratta solo di vendetta, ma che c'è di male nella vendetta? E' molto importante. Se io fossi parente dei Clutter, o di uno di quelli che York e Latham hanno fatto fuori, non potrei riposare tranquillo fino a quando il responsabile non avesse fatto quel famoso giretto sulla Grande Altalena. Quella gente che scrive lettere ai giornali. Ce n'erano due sul giornale di Topeka, ieri, una era di un ministro religioso. Dicevano insomma cos'è tutta questa farsa legale, perché quei figli di cane di Smith e Hickock non hanno avuto il fatto loro, come mai questi maledetti assassini stanno ancora mangiando il denaro dei contribuenti. Be', io capisco il loro punto di vista. Sono inviperiti perché non riescono ad avere quello che desiderano, la vendetta. E non l'avranno mai, se io posso evitarlo. Io credo nella forca. Purché non sia io a essere impiccato.»

PS.
Truman Capote era amico di Harper Lee.
Pare che sia stato lui a convincerla a scrivere "Il buio oltre la siepe". E Truman, un po' randagio, un po' spaccone, un po' tenero trova spazio nel romanzo dell'amica. È Dill.

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