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Ven der putz shteht, ligt der sechel in drerd.
Mi scuso sin da subito per l'abbondanza di peni e passere presenti in questo commento... non sono certo all'altezza di Philip Roth che potrà permettersi tali licenze letterarie, ma trovare sinonimi per tali membri, magari pure diversi per non appesantire troppo la lettura, è alquanto snervante.. quindi abbiate pazienza, per cortesia.
Il lamento di Alexander Portnoy potrebbe essere anche il mio e chissà di quanti altri uomini affetti da quella che si potrebbe definire sindrome del 'pene perplesso', dove la perplessità non nasce da indecisioni o dubbi in merito al fatto che la passera sia la compagna giusta, un sintomo cioè di omosessualità latente, bensì la perplessità è legata all'incapacità di trovare la passera giusta, non certo quella perfetta che probabilmente non esiste, ma una con la quale possa risultare piacevole vivere il resto dei giorni senza rimpianti e senza invidiare le passere altrui; e se quel pene proviene da un certo ambiente familiare, se è stato educato secondo rigidi e ferrei principi morali, la perplessità è accresciuta ben presto dai sensi di colpa, determinati dall'inevitabile contrasto tra pressanti impulsi etici ed altruistici con un egoistico soddisfacimento delle proprie pulsioni sessuali, ovviamente inevitabile in questo vagabondaggio tra le passere; ed ai sensi di colpa segue ben presto il timore, la convinzione frutto di un ragionamento inoppugnabile che tale ricerca della passera ideale non avrà mai fine:
"Immagini: supponiamo che mi decida a sposare A, con le sue soavi tette eccetera, cosa succederà quando fa la sua comparsa B, le cui tette sono ancora più soavi, o comunque una novità? Oppure C, che muove il culo come non m'era mai capitato prima; o D, o E, o F. Mi sto sforzando di essere onesto con Lei, Dottore, perchè con il sesso l'immaginazione umana vola sino a Z, e anche oltre!
Tette e fighe e gambe e labbra e bocche e lingue e buchi del culo! Come posso rinunciare alla novità, visto che una ragazza, per quanto deliziosa e provocante sia stata un tempo, mi diventerà inevitabilmente familiare quanto un pezzo di pane? Per amore? Quale amore? Quello che tiene legate tutte le coppie che conosciamo (quelle che si sono date la pena di lasciarsi legare)?
Non è piuttosto debolezza? Non è piuttosto convenienza, apatia, senso di colpa? Non è piuttosto paura, estenuazione, inerzia, pura e semplice mancanza di coraggio, molto, molto più dell' "amore" di cui sognano sempre i consulenti matrimoniali, i parolieri e gli psicoterapisti? Per favore, non prendiamoci per il culo con l' "amore" e la sua durevolezza. "
E, attenzione, sapete di chi è la colpa di tutto ciò? Delle mamme, le nostre care, dolci mamme, che Dio le benedica. E non importa che si tratti di mamme italiane o americane, ebree o cattoliche, bianche o nere, se una mamma è ossessiva e troppo presente nella vita di suo figlio, troppo intransigente, i risultati sono questi: una marea di peni perplessi sparsi nel mondo:
"Nondimeno, nella mia vita c'è un anno o giù di lì che non passa mese in cui non combini qualcosa di talmente imperdonabile, da sentirmi dire che devo far fagotto ed andarmene. Ma cosa sarà mai successo? Mamma, sono io, il bambino che passa serate intere prima prima dell'inizio delle scuole a tracciare in elegante grafia Old English il nome delle materie sui quaderni colorati, che incolla pazientemente i rinforzi intorno ai buchi dei fogli di un trimestre, a righe e senza.
Mi porto appresso un pettine ed un fazzoletto pulito; non mi lascio mai scendere le calze sulle scarpe, ci sto attento; finisco i miei compiti con settimane di anticipo: parliamoci chiaro, mà, io sono il ragazzino più intelligente ed ordinato nella storia della mia scuola! Le insegnanti (come sai, come ti hanno detto) per merito mio tornano a casa liete dai loro mariti. E allora cosa avrei fatto? Se c'è qualcuno che sa rispondere a questa domanda per favore si alzi! Sono così terribile che lei non mi vuole in casa un minuto di più. Una volta, quando definii mia sorella una caccoletta, mi venne immediatamente lavata la bocca con un pezzo di sapone da bucato; questo lo capisco. Ma essere cacciato! Cosa avrò mai fatto?
Non ti voglio più bene, non ad un bambino che si comporta come te; resterò qui sola con Papà e Hannah, dice mia madre (vera maestra nel mettere le cose in modo da ferirti); non avremo più bisogno di te."
Sono traumi come questi che ci rovinano:
"Saltello frenetico come un topo sulla punta dei piedi, tentando di liberarmi le caviglie dalle mutande prima che qualcuno vi lanci un'occhiata perchè, con dispiacere, con frustazione, con moritificazione, scopro regolarmente sul cavallo una pallida, informe velatura di merda. Oh Dottore, mi spazzo e poi mi spazzo e poi mi spazzo, passo lo stesso tempo a spazzarmelo che a cagare, forse di più. Adopero la carta igienica come se crescesse sugli alberi - così dice il mio invidioso padre -, mi spazzo il piccolo orifizio finchè diventa rosso come un lampone; eppure per quanto desideri compiacere mia madre depositando nella cesta della biancheria delle mutandine che potrebbero aver fasciato il buco del culo di un angelo, recapito invece i fetidi slippini di un ragazzo."
Anche perchè, prima che arrivino i sensi di colpa, prima che il pene diventi perplesso, c'è una fase intermedia di assoluta irrequietezza, di spavalderia, di ferocia che nasce proprio dal desiderio represso di libertà, di dire 'basta mamma, lasciami in pace' e che il futuro pene perplesso non può far altro che sfogare su se stesso:
"Poi arrivò l'adolescenza. Trascorrevo metà della mia vita da sveglio chiuso a chiave nel bagno, spremendomi il pisello nella tazza del gabinetto o nei panni sporchi del portabiancheria, o s-ciacc, contro lo specchio dell'armadietto dei medicinali, di fronte al quale stavo ritto con le brache calate per vedere com'era quando schizzava fuori.
Attraverso un mondo di fazzoletti sgualciti e kleenex appallottolati e pigiama macchiati, agitavo il mio pene turgido ed infiammato, nell'eterno terrore che la mia schifosità venisse scoperta e qualcuno mi piombasse addosso proprio nell'istante frenetico in cui deponevo il mio carico. Nonostante ciò, ero del tutto incapace di tenermi le zampe lontane dal batacchio, una volta che cominciava a salirmi su per la pancia."
Ora, è evidente che siamo lontani anni luce dall'autore maturo e lucidamente rassegnato di EveryMan o dal premio Pulitzer di Pastorale Americana; sebbene ci siano già indizi evidenti, tracce semeiotiche di quella che sarà l'ineguagliabile forza espressiva e mirabile capacità psicoanalitica di questo autore, mi sembra inopportuno abbondare negli elogi per un 'racconto' senza tante pretese, una sorta di spudorata confessione delle manie sessuali di uno schlong ebreo (da esperto segaiolo - un intero capitolo dedicato all'argomento - a trapanatore frustrato e mai appagato di shikse americane) che sfocia in un irriverente e dissacrante (nella sua geniale comicità) sfogo giovanile contro un certo tipo di educazione, di insegnamenti ortodossi basati su regole morali/religiose tanto rigide quanto illogiche, siano esse di stampo ebreo o cattolico.
Un libro, quindi, da leggere senza riflettere troppo, c'è solo da condividere ed eventualmente partecipare al lamento di Portnoy.. anche perchè, come dice il famoso proverbio, "quando l'uccello tira, il cervello va a finire sotto terra!"
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(Di Roth ho letto un solo libro e per un po' mi bastera')
;-)
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