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AL LIMONE!
Non avevo mai letto ancora nulla della consistente produzione narrativa (Trainspotting è l’opera più famosa) di Irvine Welsh, nato in Scozia: l’impatto con la sua sporca Edimburgo e i suoi sporchi personaggi è stato forte. Tra episodi grotteschi e squarci commoventi, l’autore ci accompagna in un viaggio nel suo mondo di bassifondi, dove l’umanità si mostra fetente e sublime, comica e tragica.
Terry Lawson, il protagonista principale, ha una personalità complessa: tassista truffaldino per necessità; attore porno per diletto; spacciatore per arrotondare. Padre e nonno a tempo perso, la sua ricetta per curare i mali del mondo e le complicazioni affettive è semplice e, in molti casi, potrebbe risultare efficace: whisky, coca e sesso, sesso e ancora sesso. Sex addicted felice, non disprezza i gruppi di auto aiuto: l’ambiente ideale per incontrare anime gemelle con cui fare, ovviamente, sesso. Al limone!
La grande, grossa, simpatica canaglia, edonista per sfuggire alle complicazioni, sarà messa alla prova da un destino più canaglia di lui, che scoperchierà il meglio e il peggio che ribolle sotto godereccia semplicità. Accompagnato da un imbianchino fragile di intelletto ma ricco di umanità e da un milionario americano dalla fede rampante, il Nostro vivrà una lunghissima rutilante avventura: sperimenterà la mistica del golf e del whisky; sventerà un suicidio; si imbatterà in un omicidio per caso; scoprirà torbidi segreti di famiglia e infine cadrà in vicende dove l’incesto non sembrerà certo il peggiore dei mali. Al limone!
Anche Edimburgo, con i suoi pessimi modi e il suo clima “crudo”, è uno dei personaggi più importanti della narrazione: i suoi abitanti, veri scozzesi (da non confondere con i seri ed efficienti inglesi) affrontano l’uragano DùPalle (metafora del referendum) così come affrontano la vita: barricati nei pub, senza prenderla sul serio, sfottendola e sfottendosi, fumatori contro sniffatori. Al limone!
Linguaggio molto parlato, scurrile quanto basta, si mantiene vario e non troppo monotono grazie all’alternarsi continuo delle voci narrative, che passano dalla lieve voce esterna dell’autore ai protagonisti, immersi fino al collo negli eventi, che narrano e si raccontano in prima persona e senza risparmiarci intercalari, bestemmie e scelte lessicali estreme.
La narrazione ci obbliga ad affrontare i lati più grotteschi dell’esistenza, senza risparmiarci un umorismo cupo e pesante; ma i personaggi sono vitali e ben descritti fin sotto la pelle e la storia è grande, ben raccontata. Non mancano nemmeno i risvolti poetici e commoventi.
“Ma se uno c’ha buon cuore certa gente ci vuole piantar dentro un coltello. Quel buon cuore lì, lo vedono come una loro vittima, come il cerchio di mezzo delle freccette.”
Si ride, in questo romanzo dal sapore nero, boccaccesco, mai superficiale. Una storia importante, che si potrebbe centellinare e assaporare con calma se il linguaggio e i sapori non fossero sempre così accesi, passando con salti bruschi dall’asprezza alla truculenza, dal miele al sangue. Un pasto particolare, consigliato soprattutto, ma non soltanto, a lettori e stomaci forti.
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