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Il commesso di Malamud, il ladro e l'uomo probo
Nella dedica scritta per me, Marco Missiroli ha definito “il Commesso”, di cui ha curato la prefazione per Minimum fax, “il libro più bello di tutti i libri”.
Io non penso che sia il più bello in assoluto, ma che sia un grande libro non ci sono dubbi.
Con apparente semplicità stilistica Malamud ci introduce nel grigio scenario di una Brooklyn degli anni ’50, ma l’ambientazione è così claustrofobica che ci si dimentica di essere nella spaziosa America dalle mille possibilità.
Anche Morris Bober credeva di avere grandi occasioni, e altrettante ne aveva intraviste la moglie Ida. Ma il loro destino è segnato a partire dal cognome, Bober, che in yddish significa persona di poco valore. Una prima disgrazia li colpisce con la morte del figlio maschio, mentre gli affari vanno sempre peggio, tanto da impedire a Helen, la figlia, la prosecuzione degli studi. Anzi, la sopravvivenza della famiglia è addirittura affidata al suo magro stipendio. Tuttavia, la loro misera condizione non impedisce a Morris di conservarsi onesto e giusto, anzi addirittura generoso con chi ha meno di lui. Proprio questa generosità lo porterà ad assumere come commesso Frank Alpine, un italiano dalla dubbia moralità colto in flagrante nell’atto di rubargli pane e latte. E continuerà a rubare, tanto da costringere Morris a licenziarlo.
Ma a partire dal loro traumatico (per Morris) incontro, la sua sorte è ormai legata a quel negozio e a quella famiglia, tanto da divenire l’alter ego di Morris, incarnando tutte le pulsioni negative cui l’ebreo non dà sfogo per mantenersi nella sua rettitudine. Non è un caso che Frank cada sulla bara di Morris nella scena del funerale, come a sancire una continuazione anche corporea della sua vita.
Il rabbino dice a proposito di Bober “Quando un ebreo muore, chi si preoccupa di sapere se è veramente un ebreo? È un ebreo, non ci chiediamo altro. Ma ci sono molti modi di essere ebrei. Così, se viene da me uno e mi dice: “Rabbino, posso chiamare ebreo quel tale che è vissuto e ha lavorato tra i gentili, vendendo loro carne di porco, trayfe, robaccia che noi non mangiamo, uno che neanche una volta in vent’anni ha messo piede nella sinagoga; un uomo così è un ebreo, rabbino?” Io gli risponderei: “ Sì, per me Morris Bober era un autentico ebreo, perché viveva nell’esperienza ebraica, di cui custodiva il ricordo, e con cuore da ebreo”.
Allo stesso modo di Giobbe, l’uomo giusto Morris Bober si è comportato per tutta la vita come Dio gli ha chiesto, anche se per tutta la vita Dio ha disatteso le sue aspettative di un’esistenza migliore. Ma non insegue le risposte a questa ingiustizia, lui possiede quelle risposte per il fatto stesso di essere un vero ebreo.
Ed è là, nella Bibbia, che anche Frank Alpine cercherà il senso della sua vita, nella bottega di Bober, al posto di Bober. Sarà per quella famiglia il figlio maschio che ha perso, sarà come Morris stesso nel cercare di costruire per la sua Helen un futuro migliore.
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