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“Il tempo degli aquiloni è finito…”?
Prima di addentrarmi nei dettagli del mio commento vorrei sfatare un mito, o almeno credo che lo sia, dato che lo ho constatato di persona. Molti vedono “Il cacciatore di aquiloni” come un libro “pesante”, forse per il titolo o chissà cos’altro, perché un motivo ben preciso non c’è. Lo ammetto, anche io avevo questa immotivata impressione e ora, dopo averlo letto, posso affermare con certezza l’esatto contrario. E’ un libro che scorre veloce, per niente pesante.
Khaled Hosseini riesce a tenere un buon ritmo e si lascia leggere bene, in certi tratti quasi come un autore da thriller o poliziesco, seppure la trama di questo libro sia quanto di più lontano esista da questi generi e debba molta della sua efficacia al gusto personale del lettore.
“Il cacciatore di aquiloni” è la storia di Amir, di Hassan, di Baba, di tutto un popolo: quello afghano. Un popolo alla ribalta negativa della storia recente di questo mondo; in un modo o nell’altro il fanatismo e i difetti umani hanno trovato terreno fertile per prosperare nei confini di Kabul, degenerando fino alla ferocia più nera. Eppure non si può dire che il popolo afghano sia colpevole di qualcosa.
La storia di Amir è la storia di un essere umano come tutti gli altri, diverso soltanto per certi tratti esteriori e insignificanti, e altri che fanno parte di una cultura diversa; ma diverso non vuol dire peggiore, anzi, nella maggior parte dei casi è sinonimo di bellezza. Quest’uomo è in fin dei conti uno come gli altri, che ha nel suo passato la storia tormentata di sé stesso e di un intero paese sfortunato, ma in fin dei conti è un uomo come tanti, con i suoi demoni, timori, prezzi da pagare, amori. E noi assisteremo alla sua curiosa storia d’amicizia, coraggio, rimorso, amore.
Hosseini ci fa conoscere l’Afghanistan e la sua cultura. Quando sentiamo il nome di questo paese, non riusciamo a fare a meno di pensare alla guerra, all’11 settembre, ai talebani, al terrorismo; ma non bisogna dimenticare che oltre a questo c’è molto altro, e Hosseini ce lo mostra chiaramente. Dietro l’apparenza c’è un paese brutalmente raso al suolo e privato di qualsiasi prospettiva; c’è una cultura ricca di tradizioni, fatta d’onore, rispetto e coraggio e che dalle cose semplici costruisce la sua infinita bellezza. Cose semplici come far volare un aquilone. Un popolo che si è visto strappato alla propria terra, costretto a fuggire o a morirci, e che deve sopportare che essa venga denigrata all’unanimità, senza avere una colpa globale. Un popolo che pensa al passato con gli occhi lucidi, e continua a sperare che gli aquiloni possano tornare a volare.
"Mi sedetti contro un muro della casa. Mi stupii di scoprire dentro di me un attaccamento così profondo alla mia terra. Era passato molto tempo, quanto bastava per dimenticare ed essere dimenticati. Nel paese in cui vivevo adesso, la mia terra sembrava appartenere a un’altra galassia. Pensavo di averla dimenticata. Ma non era così. E nel chiarore biancastro della luna sentivo sotto i miei piedi la voce dell’Afghanistan. Forse neppure l’Afghanistan mi aveva dimenticato."
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Ferruccio
Ciao, Vale.
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